Con l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, e l’indicazione degli altri incarichi di vertice dell’Ue, si è aperta una nuova fase per l’Unione, in cui per la prima volta saranno due donne a guidare Commissione e Bce. Nonostante le difficoltà e le apparenti contraddizioni interne alla coalizione che ha scelto la nuova presidente, già ministro della difesa del governo Merkel, con una maggioranza risicata a cui sono mancati i voti, oltre che dei sovranisti e dei verdi, anche di alcuni esponenti dei partiti tradizionalmente europeisti, popolari, liberali e socialdemocratici, la nuova presidente ha cercato di proporre un programma con propositi ambiziosi per il rilancio dell’Unione, e non si è risparmiata nel manifestare la sua ostilità ai sovranisti presenti nel nuovo Parlamento europeo.
Von der Leyen, la cui scelta è apparsa ad alcuni un compromesso al ribasso, dovrà adesso dimostrare il contrario, rilanciando davvero il progetto europeo, come ha confermato nella sua prima intervista pubblica in alcuni importanti quotidiani europei, e conquistando, su alcuni punti programmatici in campo sociale o ambientale, anche il consenso di chi ha scelto di votarle contro.
Quanto sarà davvero nuovo questo corso lo vedremo nei prossimi mesi. Indubbiamente la sua scelta ha confermato la forza e la centralità dell’asse franco-tedesco, con anche Christine Lagarde destinata a succedere a Mario Draghi, e la capacità di Emmanuel Macron di trattare e condizionare le scelte dell’Unione. Ma adesso, dopo anni difficili per l’Unione, dopo crisi economica, austerity e divisioni interne tra i singoli Paesi, diventerà centrale riuscire a ritrovare una diversa capacità di sintesi e mediazione tra gli interessi nazionali dei membri. In tempi di ritorno in auge di un certo nazionalismo, diffuso un po’ in tutta l’Ue, sarà probabilmente il vero banco di prova che la nuova Commissione e la sua presidente si troveranno a dover affrontare, se davvero avranno intenzione di superare le difficoltà degli ultimi anni e rilanciare il comune interesse verso un’Unione più forte e più coesa.
Alcune scelte molto rilevanti, su cui molto presto si misurerà la capacità di coesione dell’Unione, dovranno passare inevitabilmente da questioni che attengono la sicurezza, la politica estera e la difesa comune, su cui, fino ad oggi, hanno spesso prevalso gli interessi e le prerogative nazionali, creando non poche difficoltà all’Unione e determinando in numerosi casi anche forme di attrito o di competizione tra i paesi europei stessi.
Ma nella situazione internazionale complessa dei nostri giorni, l’Europa deve tentare di giocare un ruolo da protagonista proprio in campi come la politica di sicurezza e la difesa, al pari delle grandi potenze attuali, Usa, Russia e Cina. Su questo Von der Leyen ha speso per ora parole nette, citando anche la necessità di un ruolo “geopolitico” dell’Europa. Un presupposto molto ambizioso che vedremo se sarà in grado di perseguire davvero insieme al nuovo Alto rappresentante dell’Unione che succederà a Federica Mogherini. Un proposito che non solo comporta la definizione di una strategia internazionale dell’Unione su dossier complessi, ma anche l’obbligo di portare a sintesi e mediare tra le aspirazioni geopolitiche diverse dei Paesi principali. Certamente la sfida della difesa comune, come il tema del governo dell’immigrazione e del controllo delle frontiere dell’Unione o il ruolo dell’Europa in alcuni fronti di crisi prossimi ai suoi confini come Libia, Siria o Ucraina, sono tre temi, per quanto molto diversi, su cui la nuova Commissione e il Consiglio europeo saranno chiamati a scelte importante e ineluttabili. È chiaro ormai, che dopo l’euro e l’unione monetaria, per rilanciare e rafforzare il processo di integrazione europea la strada dovrà passare da scelte nette in settori come la difesa e la sicurezza, prerogative da sempre centrali nell’affermazione e nella costruzione delle statualità nazionali e quindi, imprescindibili per qualsiasi progetto di un’Europa “più politica”.
In questa direzione è chiaro che vi sono temi di carattere strategico, con ricadute interne ai singoli Stati, che non possono essere elusi dall’Ue, perché riguardano proprio la possibilità di costruire un’Europa capace di avere un peso maggiore nel mondo e una propria autonomia strategica. Oltre alla questione della costruzione della difesa europea, che per forza di cose dovrà passare attraverso la realizzazione di una vera industria della difesa europea, altro settore da sempre ben custodito sotto l’ala protettiva dei singoli stati, oltre al tema della sicurezza dei confini europei, o per esempio le scelte che condurremo in campo energetico, vi sono alcune questioni aperte, che attengono alla proiezione geopolitica e alla presenza dell’Unione oltre i propri confini, dove un ruolo di maggiore protagonismo è fondamentale. Partendo dai soggetti principali che agiscono nel mondo con cui inevitabilmente la politica estera dell’Unione dovrà fare i conti: in particolare Russia e Cina, nel tempo della Nuova via della seta. Cina e Russia sono grandi potenze, che nel mondo ambiscono ad un ruolo alternativo a quello dei Paesi occidentali. Il confronto con loro, per l’Europa che appartiene alla stessa “zolla di terra” eurasiatica, sarà decisivo per il futuro ruolo dell’Unione.
Diventa poi ogni giorno più importante il rapporto con alcuni protagonisti in aree strategiche per l nostra sicurezza collettiva come il Medio Oriente o il Mediterraneo, con cui i rapporti nel corso degli ultimi anni hanno avuto alti e bassi, ma verso i quali è indubbiamente necessario definire una agenda di relazioni precisa e chiara: la Turchia, Israele, l’Iran, l’Arabia Saudita. Infine la grande questione su cui nei prossimi anni l’Unione sarà chiamata decidere come e cosa fare: l’Africa. Una sfida dal punto di vista geopolitico, economico, strategico, che riguarda direttamente il futuro di entrambi i continenti. Su questo tema in particolare, come sul tema del Mediterraneo, l’Italia potrà giocare un ruolo da protagonista, se lo vorrà fare. E tra le sfide aperte, ovviamente, la prima e più urgente da affrontare e risolvere è la Libia. Una ferita aperta, per molti motivi, che l’Ue non può continuare a tollerare rimanga tale, pena il rischio che presto possa diventare incurabile.
Ma se è necessario che l’Ue acquisica una proiezione geopolitica e un ruolo strategico a livello globale e che, per esempio, affronti con tutta la propria forza e senza cedere il confronto con la Russia, così come è necessario che ritrovi un’unità fino ad oggi assente nel confronto con la Cina (si tratta di soggetti con cui l’approccio, la dialettica e le questioni aperte sono diversissime) è altrettanto imprescindibile riprendere in mano il tema dei rapporti transatlantici.
Soprattutto per affrontare questioni che riguardano sicurezza e difesa e per essere protagonisti nel nuovo ordine internazionale multipolare, l’Ue non può immaginare di farlo da sola o magari in competizione con i suoi alleati storici, gli Americani. Un’Europa protagonista nel mondo non può prescindere da un rapporto chiaro e stretto di collaborazione e cooperazione con gli Stai Uniti e, presto, con il Regno Unito, prossimo, forse, all’uscita dall’Unione. Dopo la ferita di Brexit, per cui ancora oggi non si vede una soluzione chiara e certa, che ha aperto una lacerazione dolorosissima tra i Paesi del continente e il Regno Unito, dopo l’elezione di Donald Trump, con cui i rapporti in questi anni sono stati altalenanti e ha dato vita ad una agenda di politica estera americana molto in discontinuità con i suoi predecessori, il rilancio della relazioni transatlantiche è fondamentale.
Per questo, per esempio, può diventare molto importante il rapporto di cooperazione con la Nato e la Nato stessa, come luogo di incontro e collaborazione. Del resto i paesi del fronte occidentale, composto da quelli europei e da quelli atlantici, proprio nella Nato trovano probabilmente il consesso migliore per il confronto su molti temi strategici ( oltre ai principali Paesi europei della Nato fanno parte partners fondamentali come gli Usa, il Canada, la Norvegia e il Regno Unito).
Rilanciare dunque il dialogo atlantico, partendo dai valori comuni, dalla difesa dell’ordine democratico nel mondo, dalle sfide strategiche che interessano il futuro dell’umanità e la sicurezza globale su cui il punto di vista americano e quello europeo dovranno trovare una sintesi condividendo obiettivi, risorse, scelte. Si tratta di una percorso imprescindibile per mantenere unito l’Occidente e per confrontarsi con chi promuove un progetto politico diverso e alternativo. È fondamentale sul piano politico e culturale, ma è soprattutto utile per la tutela degli interessi strategici ed economici comuni tra Nord America ed Europa. Che sono molti.
Non sarà facile, i motivi di divisione recentemente sono stati, o sembrati, tanti, e alcuni atteggiamenti dei protagonisti principali non aiutano come, indubbiamente, la non soluzione di Brexit rimane un problema aperto serio. Ma il rischio di una rottura dei rapporti transatlantici è troppo pericoloso e potrebbe rappresentare la dissoluzione dell’Occidente per come lo abbiamo fino ad oggi conosciuto. Ecco perché intanto ripartire dai valori in comune, dalle questioni unificanti e da consessi come la Nato è importante. Ed ecco anche perché l’Ue deve prendere maggiore coscienza di se stessa e del suo ruolo internazionale, investendo di più nella sicurezza e nel processo di costruzione della difesa europea, che non va visto come un’alternativa alla Nato, ma, anzi, come il mezzo per dare alla Nato una più stabile e forte gamba europea. Garantendo anche maggiori investimenti nella difesa, come chiedono gli Usa da ben prima dell’avvento di Trump, che del resto sarebbero utili a tutti noi.
L’Unione è oggi obbligata a prendere una strada molto ripida e faticosa, che impegna i suoi componenti a riprendere il cammino comune, superando errori, divisioni, gelosie degli ultimi anni. Sarà complicata, non mancheranno momenti di attrito interno in cui l’Ue dovrà affrontare le questioni che in questi anni sono state eluse o evitate, ma che attengono al suo futuro. Questo presuppone che oltre a una maggiore unità e capacità di sintesi interna, anche il rapporto biunivoco tra le sponde dell’Atlantico non sia messo in discussione. Certamente andrà rinnovato, ma non interrotto, perché senza un rapporto stabile con gli Usa, l’Ue, spesso, è andata in difficoltà. Le due sponde dell’Atlantico hanno reciprocamente bisogno l’una dell’altra.
Enrico Casini è direttore di Europa Atlantica
Andrea Manciulli è presidente di Europa Atlantica