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Perché la Francia va alle guerre stellari. Come Usa, Russia e Cina

Dopo la Space Force di Donald Trump, ecco il Commandement militaire de l’espace targato Emmanuel Macron. L’annuncio del presidente è arrivato in un giorno particolarmente simbolico, alla vigilia della Festa nazionale francese con la significativa parata militare in ricordo della Presa della Bastiglia. Sono due gli elementi che vengono certificati dal nuovo impegno transalpino nello spazio: le ambizioni (ben note) di Parigi essere nel novero delle grandi potenze, e l’estensione del confronto globale al di sopra dei limiti dell’atmosfera.

IL NUOVO COMANDO

Macron ha infatti annunciato l’approvazione dell’intera nuova Dottrina militare francese, proposta dal ministro della Difesa Florence Parly, al suo fianco durante il discorso all’Hotel Brienne di Parigi, e ben più estesa della sola introduzione della nuova forza spaziale. Tecnicamente, si tratterà di un nuovo comando all’interno dell’Aeronautica militare francese, destinata così a cambiare nome in “Armée de l’air et de l’espace”. Non una vera e propria forza armata dunque (come invece Donald Trump ha pensato, almeno inizialmente, per la sua Space Force), ma una struttura che comunque dovrebbe mantenere compiti programmatici e di strategia. L’obiettivo, ha detto lo stesso Macron, è “assicurare lo sviluppo e il rafforzamento delle nostre capacità spaziali”. Così, ha aggiunto, “rafforzeremo la nostra conoscenza della situazione spaziale e proteggeremo meglio i nostri satelliti”.

PRETESTI E STRATEGIE

D’altra parte, l’idea di potenziare lo spazio militare ha radici profonde ma giustificazioni piuttosto recenti. Fu il ministro della Difesa Parly, a settembre dello scorso anno, a impegnarsi a dotare la Francia di “un’autentica autonomia spaziale strategica” contro le “minacce portate da alcune grandi potenze”. L’annuncio arrivava affiancato dalle accuse, rivolte direttamente a Mosca, in merito “all’atto di spionaggio” che sarebbe stato condotto nel 2017 contro il satellite militare franco-italiano Athena-Fidus. Nonostante le perplessità sull’accusa avanzata (nonché le difficoltà di normare il settore), la strategia di fondo era chiara: non perdere la corsa verso la militarizzazione dello spazio.

UN TREND ASSODATO

Il trend è ormai evidente. Sin dal suo insediamento, Donald Trump ha lanciato con forza l’idea della Space Force, costringendo anche il Pentagono (inizialmente riluttante) a sostenere l’idea. Il dibattito negli Usa è serrato soprattutto sugli aspetti di comando, se creare un sesto braccio armato indipendente, oppure se inserire la Space Force all’interno del dipartimento della US Air Force. In ogni caso, Washington ha già istituito il suo Space Command, l’undicesimo comando unificato alle dirette dipendenze del dipartimento della Difesa, con carattere e funzioni operative, di natura combatant. L’obiettivo degli impegni spaziali Usa? Contrastare l’attivismo di Cina e Russia nel campo, denunciato da tutti i vertici americani e in ogni documento strategico dell’amministrazione targata Trump.

BREVE STORIA DELLE CAPACITÀ ANTI-SATELLITE

Tra tutte le preoccupazioni, ce n’è una più evidente negli sforzi dei diversi Paesi che si stanno affacciando alla militarizzazione dello spazio: il contrasto alle capacità anti-satellite (Asat). Gran parte dei servizi sulla Terra, compresi quelli più strategici per la sopravvivenza e la sicurezza di uno Stato, dipende dalle infrastrutture spaziali. Pensate per un’area esterna al confronto “terrestre”, esse si presentano tuttavia piuttosto esposte ad attacchi di malintenzionati, soprattutto ora che lo sviluppo tecnologico ha reso più concreta l’ipotesi di una guerra extra-atmosferica. Se ci si preoccupa per la difesa, allo stesso modo si pensa tuttavia all’attacco, nella più tradizionale logica della deterrenza. Come ci spiegava il generale Mario Arpino, infatti, “i tentativi di perseguire capacità anti-satellite (Asat) nascono tanto tempo fa, sebbene siano stati bloccati dal trattato Onu sull’uso dello Spazio”, siglato nel 1967 a Londra, Mosca e Washington, il documento che stabilì il divieto di porre in orbita o installare armi nucleari e di distruzione di massa nell’outer space.

GLI SFORZI NEL CAMPO

Eppure, ha aggiunto Arpino, “gli americani hanno proseguito gli sforzi fino a raggiungere tale capacità”, seguiti dai cinesi per cui “è noto un solo episodio, nel 2007, con l’abbattimento di un satellite non attivo e in movimento, la cui distruzione provocò una grave e pericolosa dispersione di debris”. Anche Mosca “ha tale capacità da tanto tempo”, sebbene le informazioni dalla Russia al riguardo siano sempre state avvolte da un certo mistero. “Sappiamo che i russi hanno perso molti satelliti, e non escludo che alcuni se li siano giocati proprio in questo modo”. Anche in Italia, ha ricordato l’ex capo di Stato maggiore della Difesa, “si sono svolti esperimenti e studi geometrici, valutando ad esempio la possibilità per un velivolo Eurofighter di trasportare sistemi di questo tipo; credo che tale prospettiva verrà ripresa”.

LE NOVITÀ TRA INDIA E NATO

La corsa allo spazio militare non è però di esclusivo interesse delle grandi potenze. Lo ha dimostrato a fine marzo l’India, quando il premier Narendra Modi ha esultato per il nuovo test che, invece, ha generato preoccupazione pure negli alleati più stretti di Nuova Delhi: un nuovo sistema missilistico balistico sarebbe riuscito ad abbattere un satellite in orbita bassa. Nel frattempo, anche l’Alleanza Atlantica si è mossa. Nella riunione a Bruxelles di fine giugno, quando si sono ritrovati i ministri della Difesa, è stata approvata la prima Space Policy della Nato. Per ora si tratta solo di un riferimento, con l’obiettivo di creare un pensiero comune su quello che resta il quarto dominio di confronto.

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