Felice di aver scelto di fare politica, nel momento più urgente per il Paese, in un partito che ha difetti come gli altri e qualche pregio in più. A noi farli prevalere. La scelta chiara verso l’economia della crescita, che si basi su formazione, concorrenza, collaborazione costante tra pubblico e privato. Che punta su più servizi, più aperture. Che dice no a tutte le droghe. Che vuole avere un sogno, magari europeo, e proteggere dalle paure del proprio secolo.
Abbiamo perso una “regione” di laureati, come se fosse la Valle d’Aosta. Se ne vanno. E gli altri non ci cercano.
Esportiamo dalle città più ricche, chi ha fatto i migliori studi e non attraiamo i loro coetanei.
Opportunità, investimenti, infrastrutture, velocità, dinamismo. Dobbiamo coniugare questi elementi ai nostri borghi. Alle nostre città. Alle nostre azioni.
L’Istat fotografa chi ha invece scelto l’Italia (e dove sono dunque i ragazzi degli altri paesi europei e delle grandi economie mondiali?): romeni (1 milione 207 mila), albanesi (441 mila), c’è poi l’immigrazione marocchina (423 mila), cinese (300 mila) e ucraina (239 mila), che da sole rappresentano quasi il 50% del totale degli stranieri residenti. Lo rende noto l’Istat nel Bilancio demografico del 2018.
Dobbiamo ripartire dalle strade economiche e sociali. Dove vanno gli altri dicevamo? Dove vanno i nostri? Cosa hanno gli altri Paesi? Funzionano meglio nelle relazioni generazionali. Elemento da noi aggravato oltre che dalla denatalità anche dall’età media degli uomini (e raramente donne) che guidano i capitali. La politica può ripartire da quel concetto tanto italiano di “Pubblica felicità”. Al cui raggiungimento devono partecipare i corpi intermedi.
Il sindacato – come rivendicano i migliori leader- per la rappresentanza nei territori, e la responsabilità sociale, è soprattutto un attore culturale “contro la narrazione della paura del futuro, contro la politica della tecnofobia”.
Sono in atto confronti su Idee di società. La politica è uno degli strumenti per realizzarle.
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