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Innovare. Purché a beneficiarne sia sempre il paziente. L’opinione di Ricciardi

Di Walter Ricciardi

Nel campo farmaceutico l’innovazione gioca un ruolo fondamentale. È molto importante, però, che questa innovazione, sia metodologica sia concettuale, di ampissima portata, non resti solo astrattamente nel campo scientifico, ma arrivi al letto dei pazienti. Le terapie innovative oggi disponibili hanno indubbiamente garantito un incremento progressivo della sopravvivenza dei malati affetti da patologie letali determinando, però, un’impennata della spesa farmaceutica. Per generare un’inversione di tendenza, coniugando innovazione terapeutica e contenimento della spesa, è necessario un cambiamento totale di paradigma, che non consideri più le aziende farmaceutiche come meri venditori di pillole e tecnologie, ma che anzi lavori con loro per elaborare una strategia comune affinché l’innovazione rappresenti davvero un valore aggiunto per i pazienti.

Per farlo è necessario che le istituzioni si seggano attorno a un tavolo e pianifichino una strategia che sia lungimirante e che non trascuri alcun dettaglio. Ma, soprattutto, che lo facciano per tempo. È di fondamentale importanza che le azioni e le relative regolamentazioni si pianifichino con largo anticipo rispetto agli ingenti investimenti dal valore di centinaia di milioni di dollari, o persino miliardi, per i farmaci e le terapie innovative. E bisogna farlo con largo anticipo proprio per identificare a priori quali sono i problemi, gli eventuali rischi e, di conseguenza, le strategie comuni per superarli.

Urgono una buona organizzazione e tecnostrutture centrali molto forti. Dopo che l’Ema approva l’ingresso di un farmaco sul mercato a livello europeo, ogni Paese deve avere le proprie tecnostrutture per effettuare un lavoro di coordinamento che sia efficiente. In Italia le prime istituzioni a dover intervenire in tal senso sono l’Aifa e l’Istituto superiore di sanità, insieme al ministero della Salute. Purtroppo, in larga parte della strutture, manca capacità di visione. I problemi cui dobbiamo far fronte non possono essere risolti con il pregiudizio o l’ideologia, ma solo con l’evidenza scientifica e la collaborazione. D’altra parte, larga parte della Pubblica amministrazione è ampiamente impreparata a queste sfide poiché possiede, in parte per sua stessa natura, una cultura prevalentemente burocratico-amministrativa e non tecnico-scientifica.

Questo deficit, presente sicuramente in tutti i Paesi, in Italia risulta particolarmente evidente. L’innovazione nel nostro Paese è frenata da mancanza di visione e assenza di metodologia. In questo senso anche le aziende di settore possono, e anzi devono, avere un ruolo cruciale. Devono infatti fare quanto necessario affinché diventino partner dell’interlocutore pubblico che, a sua volta, deve vedere in esse un’opportunità e non un antagonista.

Non si possono affrontare le sfide del futuro con i vecchi metodi, altrimenti a pagarne le conseguenze sono e saranno sempre i pazienti, soprattutto in Paesi come il nostro che hanno più volte dimostrato di non saper cogliere – e accogliere – queste sfide. C’è infine, ed è evidente, un errore nella comunicazione sanitaria che impedisce di cogliere le ampie opportunità che gli investimenti in innovazione sono in grado di offrire. Ma mentre questo avviene in maniera più o meno evidente in diversi Paesi, in Italia vi è non solo un deficit comunicativo, ma una totale assenza di fiducia reciproca fra operatori pubblici e privati, che sicuramente non giova né ai malati, né all’economia sanitaria.

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