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Teheran rischia e sfora l’accordo sul nucleare per pressare l’Ue

L’Iran ha sforato il limite di riserve di uranio arricchito permesse dall’accordo internazionale sul congelamento del proprio programma nucleare, sottoscritto nel 2015 insieme a Francia, Regno Unito, Germani, Cina, Russia e Stati Uniti (che non sono più nell’intesa da maggio 2018).

La notizia è ufficiale, l’ha resa pubblica il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, uno dei volti di quell’accordo di quattro anni fa, e successivamente è stata confermata dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha il compito di monitorare il rispetto dei paletti previsti. Gli ispettori nei giorni scorsi avevano già avvertito che se l’Iran non avesse rallentato il ritmo di produzione avrebbe superato la soglia nel weekend appena passato, e così è stato.

Teheran è attualmente in possesso di scorte di uranio arricchito al 3,67 per cento – che è una percentuale molto bassa, distante dall’85 minimo necessario per una bomba atomica – oltre al limite concesso dal Jcpoa (l’acronimo tecnico dell’accordo), e adesso deve gestire il grosso peso politico di quelle poche centinaia di materiale nucleare.

Teoricamente l’intesa richiedeva che l’Iran cedesse all’estero le eccedenze, ma il governo di Teheran aveva minacciato di non farlo e di usare la questione come violazione concessa dai cavilli dell’accordo davanti alla lentezza con cui le altre controparti stanno procedendo a far fronte all’uscita americana, che s’è portata dietro il re-inserimento dell’intera panoplia sanzionatoria Usa. Compreso le misure secondarie, che sono quelle contro cui l’Ue su tutti fa fatica a muoversi.

È proprio all’Europa che bisogna guardare per comprendere parte del senso della decisione iraniana di sforare i limiti concessi. Teheran chiede a Bruxelles di costruire un meccanismo di misure in grado di permettere alle ditte europee di continuare a fare business con l’Iran. Washington ha alzato una serie di misure che colpiscono in forma extraterritoriale le società che fanno affari con gli iraniani una volte entrate nel mercato americano. E davanti agli Usa, la più grande economia del mondo, via via tutti hanno scelto di rinunciare all’Iran.

L’aspetto dell’eliminazione delle sanzioni e della riqualificazione economico-commerciale della Repubblica islamica è la contropartita pragmatica e fondamentale che i paesi contraenti dell’accordo del 2015 hanno offerto alla leadership iraniana in cambio della rinuncia a dotarsi del deterrente strategico rappresentato dall’arma atomica.

L’accordo rappresenta anche un’architettura di sicurezza regionale, che in questa fase sta smottando: la re-introduzione delle sanzioni, la massima pressione usata da Washington, e la poca prontezza dei paesi Ue nel far fronte alle misure hanno rinfocolato le posizioni più aspre interpretate dagli oltranzisti iraniani come i Pasdaran, che sono stati coinvolti in episodi di guerra lungo il Golfo Persico. Il governo, che ha sempre usato l’approccio pragmatico, è ora in difficoltà contro la minoranza ideologica che urla “morte all’America”, non si fidava nell’entrare nel Jcpoa, e ora si trova carte favorevoli da giocare in termini di consenso.

Anche per questo l’esecutivo considera accettabile alzare i toni sul Jcpoa — prima del precipitare di situazioni all’interno dell’Iran. Con lo sforamento dei paletti, inoltre, Teheran può costruirsi una leva in future negoziazioni.

 

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