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Conte e Visegrad rompono l’asse di Merkel e Macron. La nuova Europa secondo Ocone

Habemus papam. Anzi una papessa. Come in tutti i conclavi che si rispettano, chi è entrato papa (nella fattispecie gli spitzkanditaten) ne esce cardinale, e viceversa. In mezzo, una lunga e complessa trattativa, tutta politica in barba ai nobili ideali astrattamente europeisti di tanti che della politica vorrebbero fare a meno.

Nel negoziato, l’Italia aveva poche carte in mano da giocare, anzi a un certo punto, subito dopo Osaka, quasi nessuna. Va dato atto a Giuseppe Conte, e a chi con lui, di essersele sapute giocare magnificamente, spezzando il fronte che a un certo punto sembrava averci isolato sulla candidatura del socialista Frans Tinemermans alla presidenza. Per farlo, il nostro presidente del Consiglio ha lavorato sulle divisioni dei popolari e non ha esitato ad allearsi con i Paesi di Visegrad, i quali vengono presentati dall’informazione mainstream come “illiberali” ma semplicemente vogliono evitare di passare da una burocrazia totalitaria quale quella sovietica ad un’altra soft ma non meno pervasiva (e affossatrice delle riconquistate identità nazionali) quale potrebbe essere quella di un’Unione europea solo tecnocratica.

Il nome che è venuto fuori non poteva non essere gradito a Angela Merkel, essendo Ursula von der Leyen non solo il ministro della Difesa nel governo di cui lei è cancelliere ma anche una sua fedelissima. La Merkel, a questo punto, dovrà mostrarsi in qualche modo riconoscente verso chi ha favorito questa scelta, Italia compresa (e non aggiungo altro). La von der Leyen è fortemente atlantista, e anche questo sembra dare garanzie ad una Europa che deve ripensare la sua politica di difesa e i rapporti con l’alleato americano ma che non può prescindere assolutamente da esso. Trump o non Trump.

Alla presidenza del Consiglio, secondo gli accordi raggiunti, andrà il premier liberale belga uscente Charles Michel, mentre alla Bce un’altra donna, in verità l’unico tecnico presente sul mercato della statura di Mario Draghi. Probabilmente Christine Lagarde non sarà probabilmente benevola verso il nostro Paese, ma da qui al suo insediamento l’Italia ha la possibilità di farsi comprendere meglio anche fra l’élite tecnocratica.

Dagli accordi, per il momento, è stato tenuto fuori il Parlamento, in attesa di trovare un accordo sul presidente che sostituirà Antonio Tajani. Quanto all’Italia, il nostro ruolo esce drasticamente ridimensionato, in apparenza. In verità, mi chiedo se non sia meglio riuscire a far sentire e contare la propria voce, usando le armi della negoziazione e della politica come in questo caso si è fatto (senza però transigere sui principi), o eleggere connazionali che hanno un’idea dell’interesse nazionale non sempre condivisibile e comunque in questo caso non condivisa dalla maggioranza della popolazione italiana


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