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La ragnatela dei prestiti internazionali cinesi

Se vuoi diventare ricco costruisci una strada, dice un proverbio cinese. E le strade non si costruiscono solo col le pietre e l’asfalto. La diplomazia utilizza molti strumenti per allacciare relazioni e da sempre ne viene perseguito uno potentissimo: il prestito di denaro. La diplomazia dei prestiti internazionali è materia poco nota, aldilà dei circuiti specialistici, e per questa ragione sono sempre benvenuti i lavori di analisti che ci consentono di sbirciare per un attimo nei grattacieli dove il potere politico e quello economico celebrano il loro sposalizio. Perché se certamente costruire una strada conduce alla ricchezza, e tanto più quando si concedono prestiti, è vero altresì che quando gli stati prestano agli stati non è solo il calcolo economico a guidare le decisioni. I prestiti internazionali hanno a che fare con l’influenza, più che col profitto, che pure ha la sua importanza.

La premessa serve a introdurre un recente paper del Nber che ha il pregio di illustrare in maniera sistematica la grande ragnatela di prestiti internazionali che la Cina ha tessuto già dall’indomani della fondazione della Repubblica popolare fino ai nostri giorni nei quali, dopo la straordinaria crescita registrata nell’ultimo ventennio, la Cina è divenuta una dei più grandi creditori internazionali, avendo disseminato per il mondo migliaia di miliardi di dollari in varie forme, da investimenti di portafoglio a investimenti diretti, prestiti bancari, crediti per l’esportazione e persino linee di swap attivate dalla banca centrale cinese con una quarantina di banche centrali nel mondo.

In sostanza, pressoché tutti i paesi del mondo, in un qualche modo e in una qualche misura, hanno debiti nei confronti della Cina. Il grafico sotto sommarizza questa situazione.

Come si può osservare, solo pochissimi sfuggono al ragno miliardario cinese, e chissà per quanto ancora. A ciò si aggiunga che per comporre questa rappresentazione, gli autori del paper hanno dovuto fare i conti con la scarsa trasparenza (“nel migliore dei casi”, dicono) delle fonti cinesi, costringendosi a compulsare vari database per arrivare a una rappresentazione quanto più possibile esaustiva. Ma che va comunque presa con beneficio di inventario. Il tema è straordinariamente complesso, come potrà scoprire chiunque avrà voglia di scorrere il paper, che contiene diverse indicazioni molto interessanti.

Prendiamo questa, per esempio: “I prestiti diretti e i crediti commerciali della Cina sono saliti da quasi zero nel 1998 a oltre 1,6 trilioni di dollari, o quasi il 2% del PIL mondiale nel 2018. Questi prestiti sono destinati principalmente a paesi a reddito medio-basso. In totale, le stime suggeriscono che lo stato cinese ora rappresenti un quarto del totale dei prestiti bancari ai mercati emergenti. Ciò ha trasformato la Cina nel più grande creditore ufficiale, che ha superato facilmente il FMI o la Banca mondiale”. Volontà di potenza, associata a potenza economica, insomma.

Se ai prestiti diretti associamo anche quelli indiretti, rappresentati dall’acquisto di bond governativi, il quadro si dettaglia ancor meglio.

Le stime parlano di circa 3.000 dollari di bond sovrani nella pancia della banca centrale cinese, la gran parte dei quali degli Usa, ovviamente, e poi della Germania, del Giappone e dell’Uk. Ma soprattutto è interessante osservare le modalità con le quali i cinesi prestano ai paesi più bisognosi, sempre ricordando che è molto difficile avere informazioni precise. Le vie della della diplomazia cinese, compresa quella economica, rimangono per molti versi misteriose, come mostrano anche le stime di crediti nascosti quantificate dagli osservatori che hanno avuto accesso a 1.974 prestiti cinesi e 2.947 sovvenzioni cinesi a 152 paesi emergenti o in via di sviluppo dal 1949 al 2017.

Teniamo a mente quest’altra considerazione, che dice molto dello stile dei prestiti cinesi. “Negli ultimi decenni, – scrivono – i creditori ufficiali (le grandi istituzioni, ndr) hanno elargito prestiti ai paesi in via di sviluppo a condizioni agevolate con scadenze lunghe e tassi d’interesse inferiori a quelli di mercato. La Cina, invece, spesso presta a condizioni di mercato (con premi di rischio), scadenze più brevi e in parte con clausole che garantiscono il rimborso attraverso i proventi delle esportazioni di materie prime, in particolare dal petrolio”. In questo modo il credito cinese risulta di fatto “privilegiato” rispetto a quello delle istituzioni internazionali.

Ma è il seguito che è interessante “Queste pratiche hanno un analogia nella storia. I prestiti esteri della Cina condividono molte caratteristiche con quelli esteri francesi, tedeschi e britannici del XIX secolo, che tendevano ad essere basati su meccanismi di mercato, parzialmente garantiti dai redditi delle materie prime e caratterizzati da uno stretto legame di interessi politici e commerciali”. I cinesi hanno avuto buoni maestri insomma. Meglio ricordarselo.


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