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L’Italia e l’allunaggio tra ieri, oggi e domani. Il commento di Villadei

Venticinque maggio 1961, il presidente Kennedy annuncia al Congresso degli Stati Uniti la nascita del programma Apollo. Dodici settembre 1962, alla Rice University, pronuncia le storiche parole: “We choose to go to the moon and do other things not because they are easy, but because they are hard; because that goal will serve to organize and measure the best of our energies and skills”. Venti luglio 1969 ore 20:47 (Gmt), “Eagle has landed”. L’uomo è allunato. La sfida vinta. Il sogno realizzato.

Si racconta che in quella notte i centralini delle stazioni di polizia non squillarono. Forse, per poche ore, il mondo fu davvero in pace. Ma cosa fu il programma Apollo? Impossibile dare una risposta univoca. Così come l’intera corsa allo spazio in quei pochi anni (solo dodici dal lancio dello Sputnik, il 4 ottobre del 1957), significò innumerevoli cose: una straordinaria avventura umana; un confronto tra due modi di pensare il mondo; lo scontro tra due culture; la rivincita della tecnologia; una guerra mai combattuta; la dimostrazione che Tsiolkoswky non errava affermando che la “Terra è la culla dell’umanità, ma l’umanità non può restare per sempre in una culla”; un’occasione persa. Mi soffermerò sulla prima e sull’ultima.

Il programma Apollo fu una straordinaria avventura basata sull’intelletto, il coraggio e lo spirito di due nazioni, due superpotenze, che decisero di sfidarsi nella più ardua avventura mai tentata dall’uomo: la conquista dello spazio. Una gara per la supremazia militare e tecnologica. Infatti, la principale preoccupazione degli Usa era che i sovietici potessero mettere per primi un ordigno nucleare nello spazio. Eppure, quegli uomini e donne parteciparono con la passione di chi sapeva di contribuire alla storia. Astronauti e cosmonauti accettarono di mettere a repentaglio la propria vita. Quando Gagarin sulla rampa di lancio pronunciò la famosa frase “Paiekali” (partiamo) aveva solo il 50% di probabilità di tornare. Quando il 27 gennaio del 1967, gli astronauti Grissom, White e Chaffe bruciarono sul Pad34 del KSC, il programma spaziale subì uno shock. Ma in soli dieci mesi fu lanciato l’Apollo 4 (prima missione senza astronauti) e già nell’ottobre del 1968 il primo equipaggio (Apollo 7) era in volo.

Nulla ha più incuriosito ed entusiasmato come quelle missioni. E forse è bene così, perché significa che gradualmente quest’ambiente è divenuto a noi più familiare e meno ostile. Dall’altra parte, il programma Apollo fu (per alcuni versi) un’opportunità mancata. Si era diffusa la convinzione che l’umanità sarebbe divenuta a breve una civiltà spaziale, con colonie sulla Luna, le prime missioni verso Marte e magari oltre, come immaginato da Kubrick e Clarke nel 1968 in 2001: Odissea nello spazio. Ma non fu così. Cernan (Apollo 17) il 14 dicembre 1972 lasciò la superficie della Luna, a conclusione del programma, ritenendo che quel distacco sarebbe stato solo “per poco tempo”. Invece, negli ultimi 47 anni siamo rimasti intrappolati nelle orbite basse.

Ora si presenta l’occasione di evolvere ulteriormente. Il quadro geopolitico attuale fa soffiare nuovamente la brezza della competizione. Gli Stati Uniti, oggi come allora, si ripropongono come leading Nation della nuova avventura. Certo, in molti si sarebbero aspettati una sfida che puntasse direttamente a Marte. Ma le sfide tecnologiche da superare per portare esseri umani sul Pianeta rosso richiedono ancora tempi di sviluppo che eccedono di molto l’orizzonte dei due mandati. Ciononostante, la sfida proposta non è meno affascinante. Tornare per restare sulla Luna. La prima colonia extra-terrestre umana, passando per una stazione orbitante, con un primo sbarco già nel 2024. Ma proviamo a fare qualche considerazione domestica.

L’Italia può essere protagonista, giocando un’abile strategia su più tavoli. L’industria italiana dispone di competenze pregiate nell’ambito delle strutture pressurizzate orbitanti e di una filiera di Pmi ed enti di ricerca in grado di contribuire a questo nuovo capitolo della Space economy. Da qui l’esigenza di una visione strategica, da elaborare rapidamente considerate le prossime scadenze. Su cosa investire? Come gestire le diverse possibili cooperazioni? Negli Stati Uniti il dibattito è serrato. La dialettica tra la Nasa e l’Office of management and budget della Casa Bianca accesa. La prima chiede un incremento di budget significativo (non ancora approvato) per raggiungere gli obiettivi fissati dal presidente. Tutto quello che viene ipotizzato su carta, soprattutto se troppo in là, potrebbe non realizzarsi davvero. Gli americani sono incerti tra autarchia spaziale e apertura per condividere il burden.

L’Italia è l’unico Paese europeo ad avere una cooperazione bilaterale diretta con la Nasa, grazie ai moduli Mplm. Un primato che forse non a tutti piace. Il nostro Paese potrebbe rafforzare il dialogo strategico con gli Usa, ravvivato anche dai recenti incontri di alto livello. Magari un modulo made in Italy attorno alla Luna segnerebbe un ulteriore storico primato. Ciò senza dimenticare la scadenza della ministeriale Esa 2019, nell’ambito della quale il dibattito sarà interessante nell’ottica di valorizzare il ruolo come terzo Paese contributore e al contempo preservare un’autonomia strategica che in questo settore pochi altri vantano.

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