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Con l’Arrow-3 Israele lancia un messaggio a Iran (e Usa)

A soli due giorni dall’ultimo test missilistico condotto dall’Iran, Benyamin Netanyahu ha svelato le attività segrete condotte sul sistema di difesa Arrow-3 in Alaska. Che il destinatario del messaggio si trovi a Teheran è chiaro, ma l’impressione è che il premier israeliano abbia qualcosa da dire anche a Washington.

IL NUOVO TEST

“Un successo formidabile per la sicurezza di Israele”. Così Netanyahu ha definito l’attività di test che nelle ultime tre settimane ha visto il lancio del nuovo missile anti-balistico Arrow-3 dell’Alaska. I lanci, ha spiegato il premier, “sono riusciti oltre ogni immaginazione: Arrow-3 ha intercettato con pieno successo missili balistici oltre l’atmosfera, ad altitudini e a velocità senza precedenti; l’esecuzione è stata perfetta; i bersagli sono stati centrati in pieno”. E se ci fossero dubbi sui destinatari dell’attività, è lo stesso Netanyahu a dissolverli: “Adesso Israele dispone della capacità di agire contro missili balistici che fossero lanciati contro di noi dall’Iran o da altre località”. D’altra parte, oltre il mantenimento dell’operatività delle forze e la verifica sulle capacità dei sistemi, ogni attività di test e addestramento nasconde in sé messaggi politici e strategici. In questo caso, ce ne sono almeno un paio.

LA RISPOSTA A TEHERAN

Il primo è diretto a Teheran, proprio nei giorni in cui le acque delle Stretto di Hormuz si surriscaldano, tra l’incremento dell’assertività iraniana e i rischi di escalation che si susseguono da settimane. In più, l’annuncio di Netanyahu sul sistema di difesa è arrivato a soli due giorni dal test del missile iraniano Shahab-3, volato per circa 1.100 chilometri con “il successo” riportato dalle autorità responsabili. Missile balistico a medio raggio, il vettore (derivato dal nordcoreano No Dong 1) è ritenuto il migliore tassello delle capacità missilistiche di Teheran, anche perché è stato il primo a entrare in servizio ormai quindici anni fa. Più che un test, il suo lancio è un’indicazione rivolta ai competitor, tra cui si annoverano sicuramente Usa e Paesi europei, ma anche Israele, primo avversario nella regione. Così, posta la manifestazione di capacità di offesa da parte dell’Iran, immediata è arrivata la presentazione delle capacità di difesa targata Tel Aviv, il tutto nella tradizionale logica della deterrenza.

IL MISSILE

L’Arrow-3 è un intercettore progettato per identificare e colpire missili balistici a medio raggio (proprio come lo Shahab-3) durante la loro fase di volo extra-atmosferico, evitando di farlo nella fase di rientro in cui aumentano la velocità diventando più difficili da raggiungere. Versione potenziata dell’Arrow-2, presenta capacità maggiori in termini di raggio (fino a 2.400 Km) e altezza (chiaramente eso-atmosferica), tanto che per molti analisti potrebbe avere capacità di contrastare addirittura i missili balistici intercontinentali. Si compone di due stadi, il secondo dei quali manterrebbe capacità di manovra, oltre che di detonazione, in ambiente spaziale. Proprio tale caratteristica ha portato diversi osservatori a ritenere che il sistema sia stato pensato anche per dotare Israele di capacità anti-satellite (Asat, tutt’altro che difensive), un’ipotesi che sarebbe comunque in linea con un trend ben consolidato nel campo dello sviluppo militare.

UN MESSAGGIO A WASHINGTON

In ogni caso, nell’annuncio israeliano si specifica che l’attività è stato condotta “in cooperazione con le autorità statunitensi”, una nota che poteva essere superflua visto che i lanci sono partiti dall’Alaska. Tra l’altro, l’Arrow-3 è frutto di uno sviluppo congiunto tra i due Paesi, risalente a un primo accordo del 2008 e affidato ai due colossi industriali: Israel Aerospace Industries e Boeing. Gli Stati Uniti, che in quegli anni stavano provando a vendere all’alleato il sistema Thaad, hanno finanziato buona parte del progetto, garantendo sostegno anche alle successive attività di sviluppo e ammodernamento. Ora, il forte accento posto da Netanyahu sui test in Alaska sembra voler sottolineare due aspetti: primo, ribadire il solido rapporto con gli Usa; secondo, segnalare all’alleato la necessità di una risposta vigorosa all’assertività iraniana, proprio quando da oltre oceano l’amministrazione Trump aveva invece cercato di minimizzare il lancio dello Shahab-3.

MOLTO PIÙ DI UN TEST

Le attività delle scorse settimana sull’Arrow-3 sono molto più di un semplice test. Il sistema è stato testato dal 2014 (registrando un fallimento cocente al debutto), con un numero di lanci crescente negli anni successivi fino al termine dello sviluppo e l’integrazione nel sistema di difesa israeliano a gennaio del 2017. Allora, la “freccia” andava a completare l’architettura anti-missilistica di Tel Aviv. Pochi mesi prima era infatti entrato in servizio il primo sistema David’s Sling (“fionda di Davide”), progettato per intercettare minacce aeree di medio-lungo raggio come aerei, droni e missili da crociera. Contestualmente, si espandeva il programma Cupola di Ferro (Iron dome), incaricato invece di difendere il Paese dalle minacce a corto raggio. Tra i rischi di escalation a Hormuz e il test dello Shahab-3, l’impressione è che Israele abbia voluto rinfrescare la memoria di Teheran sulle difesa di cui dispone.

IL FATTORE LEADER

Aggiungere il carattere della cooperazione con gli Usa serve invece a rinsaldare il rapporto con lo storico alleato sul dossier. Rispetto alla crisi registrata durante l’amministrazione Obama (soprattutto per la contrarietà israeliana all’accordo nucleare con l’Iran), Donald Trump ha ridato spinta alle relazioni bilaterali. A settembre 2017, mentre proseguivano i lavori per la piena operatività dell’Arrow-3, il presidente americano benedisse insieme a Netanyahu il taglio del nastro della prima base militare Usa permanente nel territorio di Israele, nello specifico nel cuore del deserto del Negev. Ora, sembra che il premier israeliano voglia suggerire nuovamente la via al collega d’oltreoceano: serve fermezza contro Teheran.

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