Alla fine vince sempre il Parlamento. Come istituzione, luogo, architettura mentale, ambient, procedura, insomma come Parlamento. È vero che da diversi anni ormai alla Camera non è più in uso la cravatta, obbligatoria, invece, al Senato, cosa che ha fatto arrabbiare un occhiuto senatore dei FdI che si ritagliò una qualche notorietà per la denuncia di senatrici a braccia desnude e dunque trattate con atteggiamento dispari rispetto ai colleghi incravattati. Una questione di genere.
Comunque la cornice austera dell’aula di Montecitorio continua ad esercitare una innegabile fascinazione su tutti quelli che ci mettono piede, riuscendo, alla fine, ad imporre il suo stile anche ai più irriducibili. Quanto tempo è passato da quando Beppe Grillo armeggiava minaccioso con apriscatole giganti per annunciare la buona novella di una rivoluzione alle porte appena i suoi giovani adepti avessero messo piede in quel luogo di perdizione che era il “Palazzo della Casta”? Qualche annetto, il tempo di una sorprendente metamorfosi che avrebbe portato i descamisados a Cinque Stelle, riconoscibili per la mise da rivoluzionari di periferia con la giacchetta vintage addosso, alle grisaglie di buona sartoria napoletana di oggi.
Che cosa voleva significare la simbologia agitata dal padre fondatore è presto detto: entriamo nel Palazzo d’Inverno e lo scardiniamo, scoperchiando tutte le magagne e i traffici oscuri che sicuramente cola’ vengono svolti per definizione. L’operazione “scoperchiamento” aveva un cardine, peraltro congeniale alla filosofia politica del movimento, nell’interattività garantita dalle tecnologie digitali attraverso l’uso degli smartphone: bisogna che il popolo sappia quel che accade là dentro minuto per minuto per poter poi decidere e offrire ai parlamentari-portavoce le indicazioni sul comportamento da tenere. Dunque la documentazione video-fotografica da diffondere in tempo reale con i social della famiglia pentastellata rappresenta un elemento fondamentale del mandato politico, peraltro da sempre esercitato con alacre successo.
Sennonché arriva in questi giorni ai capigruppo una lettera del presidente Fico che, riferendosi ad episodi di turbativa apportati ai lavori dell’aula per via di “atteggiamenti provocatori posti in essere da alcuni deputati”, stigmatizzava l’uso di fotografie e riprese audio fatte dai deputati nel corso della seduta. Il presidente, inoltre, richiamava i capigruppo ad adoperarsi affinché fosse garantito dai deputati un atteggiamento “rispettoso della dignità dell’istituzione parlamentare, evitando in particolare per il futuro di effettuare fotografie e riprese audio nel corso dei lavori d’aula ovvero dopo la sua sospensione”.
Plauso a Fico, non c’è che dire, ma anche a quella specialissima eterogenesi dei fini cui ti conduce il Parlamento della Repubblica, per cui è possibile entrare con un apriscatole e ritrovarsi in mano il piumino delle pulizie.