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Riad e Abu Dhabi. Gli obiettivi comuni che uniscono il Golfo spiegati da Bianco

“Le differenze di percezione e di prospettive tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti rispetto i due spettri nemici, l’Iran e la Fratellanza musulmana, sono assolutamente strutturali, legate al fatto che sono due stati molti diversi”. Cinzia Bianco, analista della Gulf State Analytics (società privata che consiglia aziende e governi sul Medio Oriente), spiega a Formiche.net come i due Paesi motore del sunnismo globale si approcciano agli enormi dossier che ne rappresentano la proiezione esterna, e non solo.

Si parla dello scontro geopolitico con Teheran, la Repubblica islamica sciita; e di quello politico (ma anche geopolitico) prodotto della competizione intra-sunnita con i Fratelli, statualmente rappresentati da paesi importanti come Turchia e Qatar. Un’analisi sulle visioni dei due paesi che diventa fondamentale se si pensa che questo dualismo si proietta su vari fascicoli importanti delle relazioni internazionali, come per esempio la Libia, o lo scontro nel Golfo tra iraniani e americani.

“Riad e Abu Dhabi guidano due Stati che hanno diverse dimensioni a cui si collegano diversi modelli di governance: la prima è una monarchia che diventa sempre più assolutista e centralizzata, l’altro è un sistema sempre centralizzato, ma sostanzialmente federale. Ma anche le loro economie sono completamente diverse (legate anche al territorio e alle dimensioni), e pure dal punto di vista tribale e della popolazione sono differenti: per esempio, l’Arabia Saudita ha un’importante minoranza sciita, che invece negli Emirati è ormai quasi inesistente e completamente assorbita”, continua Bianco.

“Queste differenze di realtà, prospettiva e percezioni si traducono in approcci diversi su questioni come la guerra in Yemen, oppure la crisi in Sudan, il confronto con l’Iran o il rapporto con gli Stati Uniti, e sono esistite da sempre, perché appunto sono strutturali” – aggiunge l’analista italiana, una dei massimi esperti europei sulla regione arabica. “Il punto è che rispetto a queste sfumature nel dettaglio o nel piano esecutivo, gli obiettivi dei due policy maker, il saudita Moahmmed bin Salman e l’emiratino Mohammed bin Zayed (anche MbS e MbZ, ndr), rimangono comuni. È questo che li ha tenuti insieme finora, oltre al fatto che hanno bisogno l’uno dell’altro”.

A che cosa si lega questa mutua necessità, e come si snoda? “Per esempio, il saudita ha bisogno di MbZ perché l’emiratino è più esperto, ed è dunque più attrezzato nella strategia: MbS se ne rende conto, e sente di potersi fidare di Abu Dhabi più di quanto possa fare con alcuni elementi dell’establishment senior saudita, perché bin Zayed vuole che bin Salman salga al trono, in quanto lo considera il suo uomo in Arabia Saudita”.

Facciamo un esempio ancora più concreto riguardo a quell’essere “più attrezzato” riferito all’emiratino? “Prendiamo il rapporto costruito da bin Salman con Jared Kushner, che gli ha aperto le porte dell’amministrazione Trump (Kushner è il potentissimo genero-in-chief, consulente strategico del suocero alla Casa Bianca. Ndr). Ecco, come ben noto è stato bin Zayed ad averlo permesso, facilitato, promosso. E lo stesso vale, in misura minore, anche per altri rapporti in altri circoli del potere internazionale con cui l’emiratino ha già avviate le relazioni”.

L’Arabia Saudita sembra aver bisogno degli Emirati Arabi, ma abbiamo detto che questa necessità è reciproca: dunque, ad Abu Dhabi? “Bin Zayed sa che il regno saudita è un grande paese che ha capacità e strumenti di proiezione su alcune questioni dove gli Emirati non ne hanno (pensiamo alla legittimità sulla sovranità alla Mecca e Medina, oppure allo strumento finanziario forte). In più, spesso Riad viene usato come scudo. Prendiamo il caso della guerra in Yemen e la questione delle vittime civili: la guerra è finita sulla bocca di tutti e sono stati i sauditi a beccarsi il biasimo, mentre MbZ s’è abbastanza svincolato”.

Ecco, appunto: la guerra in Yemen è anche un tema dietro ai rapporti internazionali di questi due paesi, a cominciare da quelli con gli Stati Uniti, che hanno fornito molte delle armi che sauditi ed emiratini stanno utilizzando per combattere i ribelli Houthi (che hanno rovesciato tre anni fa il governo filo-saudita di Sanaa). È di queste ore la notizia che la Camera americana ha votato per bloccare nuove commesse militari indirizzate a Riad.

Si tratta di mosse non nuove da parte del Congresso, ma a cosa si legano? “La cosa più importante da notare è che l’opinione pubblica americana sta virando in maniera molto decisa contro i sauditi, ed è un tema su cui i legislatori possono fare braccio di ferro con l’esecutivo. Sappiamo che quando i presidenti entrano alla Casa Bianca, per ragioni strategiche strutturali, diventano tutti pro-Saudi, perché Riad è un alleato irrinunciabile in Medio Oriente. Donald Trump l’ha vista in maniera utilitaristica, per esempio è solo l’ultima della notizia il raddoppiamento del volume di debito Usa acquistato dai sauditi. Mentre il Congresso ha più spazio e può mettersi in contrapposizione al presidente, cavalcando il sentimento dell’opinione pubblica che si lega molto anche al riverbero internazionale del caso Khashoggi”. Ed è una sorta di bilanciamento.

Questa percezione occidentale, sentita dalle persone negli Stati Uniti ma anche in alcuni paesi europei, non è simmetrica in Arabia Saudita, però, dove MbS ha promesso un nuovo patto sociale attraverso riforme che apparentemente sembrano rivoluzionare e futuristiche. Non è così? “La social liberalization è un ingrediente fondamentale della legittimità di bin Salman, del messaggio di leader giovane che vuol proiettare all’esterno, e su questo ha dimostrato serietà; certo ha difficoltà, ma sta andando avanti. Per esempio, hanno deciso che tra qualche mese alle donne al di sopra dei 21 anni sarà data la possibilità di spostarsi senza il permesso del proprio guardiano, un passo forte verso la distruzione della legge sulla guardiania. Inoltre verrà data la possibilità ai negozi di restare aperti anche durante il tempo della preghiera. E ovviamente MbS spinge per accelerare certe tempistiche anche per recuperare terreno dopo aver logorato il favore dell’Occidente con il caso Khashoggi, appunto”.

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