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MbS ha promesso un sogno ai sauditi. L’imbarazzo per il caso Khashoggi e lo Yemen

“Dobbiamo comprendere che Mohammed bin Salman ha fatto una sorta di patto sociale, che consiste nell’aver aperto il futuro ai giovani, che rappresentano il 70 per cento della popolazione in Arabia Saudita”, spiega a Formiche.net una tra alcune fonti diverse, tutte con ottimi rapporti nel Golfo, con cui commentiamo (sotto discrezione) la situazione nel paese. Lo spunto è il caso Khashoggi e le varie reazioni internazionali, l’obiettivo è “andare oltre la copertina del Time“, dice uno di loro – la rivista ha dedicato ai “giornalisti guardiani della verità” quattro copertine Person Of The Year 2018, tra cui una con la foto dell’editorialista saudita del Washington Post ammazzato da una squadraccia dei servizi segreti inviata da Riad al consolato di Istanbul il 2 ottobre.

“È ovvio, quello che è successo in Turchia produce un autentico imbarazzo tra i giovani sauditi che sostengono in massa MbS (è l’acronimo internazionale con cui viene abbreviato il nome dell’erede al trono saudita, ndr): è chiaro che l’assassinio barbaro di un oppositore politico non sia approvato dai cittadini sauditi, ma c’è il contesto enorme da valutare”. Una delle nostre fonti ricorda che, per sua stessa ammissione, Jamal Khashoggi stava costruendo un movimento di opposizione al nuovo corso del potere che il principe ereditario incarna, “e quel genere di posizione politica è percepita come il ritorno a un certo tipo di passato contro cui MbS si è invece affermato: ripeto, la pratica dell’assassinio non è ovviamente approvata, ma va considerato che Khashoggi rischiava di impersonare quei gangli del potere precedente che combattono contro un sogno che interessa ampie sacche della popolazione saudita, un sogno che MbS, prendendosi il ruolo nel meccanismo di successione da poco più di trentenne, ha dato ai sauditi”.

“Questo nuovo patto sociale è travolgente e spazza via il precedente, dove il potere era gestito internamente da un re ottuagenario a cui succedeva qualcun altro di anziano, e seguiva il principio di sussidiarietà verso il popolo, accontentato con i proventi del petrolio”. Il sogno è nella possibilità di essere parte di un processo di rinnovamento, in cui “certo, il potere resta sempre in mano al regno, ma è quanto meno più coinvolgente”.

“Mettiamo in chiaro un’altra cosa: questa situazione significa che se qualcuno pensasse di bloccare questo processo messo in atto dall’attuale erede al trono, non si tratterebbe soltanto di un colpo di palazzo (gestibile attraverso ritorsioni contro gli oppositori all’interno), ma si troverebbe migliaia di ragazzi sotto al palazzo reale, magari convocati via Twitter, perché il meccanismo storico innescato da MbS coinvolge il popolo. E forse è questa la novità”.

E tutto vale ancora di più se qualcosa in un certo senso dovesse arrivare dall’esterno? “Certamente, scatta qualcosa di simile all’autodeterminazione dei popoli: MbS è colui che ha permesso alle donne di guidare e di partecipare, è colui che ha dato, con la sua stessa persona, la speranza a un giovane saudita di scavalcare qualche regola famigliare e salire alla leadership subito. È una faccenda enorme”.

Domenica, il New York Times ha pubblicato un editoriale firmato da Michael Kristof, che era stato a Riad. Anche il giornalista ha registrato questa situazione che ci viene spiegata: il fondista del Nyt ha sottolineato di aver preso spesso posizioni critiche contro MbS e di disprezzare il suo potenziale (quasi certo, secondo la Cia) coinvolgimento nell’assassinio di Khashoggi, ma ha registrato di aver trovato un paese dove la realtà è piuttosto complessa e diversa dal suo pensiero iniziale. Kristof raccontava di non aspettarsi di ricevere risposte su certe domande riguardanti l’erede al trono e il caso successo in Turchia (addirittura diceva che non si aspettava nemmeno di ricevere il visto per entrare in Arabia Saudita, visto che le sue critiche a bin Salman erano state pubblicate in un giornale che fa milioni di visualizzazioni).

Sebbene restii, invece, gli interlocutori di Kristof hanno risposto alle domande, e gli hanno fatto capire che le possibilità che il rinnovamento promesso da bin Salman gli ha messo davanti sono enormi – una donna gli ha detto che innanzitutto MbS gli ha permesso di guidare fino al bar in cui avevano appuntamento per l’intervista. Contemporaneamente ha registrato l’enorme imbarazzo sulla vicenda Khashoggi e la ferma condanna per quello che è successo.

“Intendiamoci, non siamo davanti a un riformatore occidentale: MbS è un saudita, che segue un modo di pensare saudita”, aggiunge un’altra delle nostre fonti. “Allarghiamo da qui il discorso: se è vero come è vero che con MbS si sta costruendo quel nuovo patto sociale in Arabia Saudita, allora significa che qualsiasi tentativo di cambiamento che interessi la sua leadership potrebbe portarsi dietro il caos, un caos mosso dalla popolazione. E il caos è esattamente quello che la situazione geopolitica dell’area mediorientale non vuole. Soprattutto in un paese centrale come l’Arabia Saudita”.

Anche per questo la Casa Bianca ha preso sempre una posizione schiacciata su bin Salman? “Certamente. Washington sa che quel caos sarebbe un valore estremamente negativo dal punto di vista strategico. Poi certo, c’è la questione degli human rights, sulla quale però ha preso posizione il Senato a sostegno di una linea storica americana, quella della difesa dei diritti civili: era impossibile che l’America abdicasse a questo ruolo davanti a una faccenda che coinvolge un giornalista che scriveva per un giornale americano e che diceva di essersi rifugiato in Virginia perché a Riad non si sentiva sicuro”.

E lo Yemen? Il Senato ha chiesto – ma la Camera sta già bloccando il processo – che gli Stati Uniti interrompano il supporto ai sauditi nell’operazione lanciata da Mohammed bin Salman per riconquistare il paese dall’avanzata dei ribelli Houthi: di cosa parliamo? “Partiamo da un presupposto: l’amministrazione americana dice che non dà sostegno militare ai sauditi, e così è ufficialmente da dopo l’interruzione dei rifornimenti aerei, che comunque era un appoggio logistico. Secondo: sia il Pentagono che il dipartimento di Stato hanno già spinto il processo di pace, e di queste posizioni nei negoziati in corso a Stoccolma si terrà conto. E molto”.

“Ma soprattutto – continua una delle nostre fonti – gli Stati Uniti hanno interesse che lo Yemen non cada in mani iraniane. La campagna militare pensata da MbS tre anni fa per liberare il paese è stata ben accolta a Washington anche per questo: gli Houthi hanno collegamenti con l’Iran, e il rischio per gli Stati Uniti era che la sponda orientale dello stretto di Bab al Mandab cadesse sotto un qualche genere di controllo di Teheran. Una potenza talassocratica come quella americana non può tollerare questo genere di situazioni, anche perché dall’altro lato c’è Gibuti, dove la Cina sta diventando prominente“.

Ma anche in Yemen c’è la questione dei diritti umani… “A quello si lega la posizione del Senato e la traiettoria tracciata da Pentagono e Foggy Bottom: lo Yemen viaggia insieme al caso Khashoggi perché molto simile; l’omicidio del giornalista e le vittime civili e la crisi umanitaria yemenita, sono conseguenze di scelte di bin Salman. In entrambi i casi il primo piano ce l’hanno gli interessi strategici e l’atteggiamento realista, poi è chiaro che nessuno sia d’accordo nell’uccidere innocenti e affamare popolazioni, e questi argomenti saranno gestiti per vie laterali come quelle usate dal Senato americano, che ha inviato a Riad un messaggio forte, procurando reazioni piccate saudite”.

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