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È grazie alla Russia che Maduro resta al potere. Parola di Abrams

È una missione difficile e pericolosa, quella di combattere il regime di Nicolás Maduro per fare tornare la democrazia in Venezuela. Ma Elliott Abrams, “il falco”, non teme la complessità dell’incarico. Anzi, proprio per questo ha accettato la nomina di inviato speciale degli Stati Uniti per il Venezuela il 25 gennaio, due giorni dopo l’insediamento di Juan Guaidó come presidente ad interim del Paese sudamericano.

Da quel momento la crisi venezuelana ha attraversato diverse fasi, eppure Maduro non sembra intenzionato a lasciare il potere. In un’intervista concessa al quotidiano spagnolo Abc, Abrams ha puntato il dito contro Mosca come responsabile del mantenimento del regime venezuelano. E ha spiegato che, nonostante la Casa Bianca preferisca ancora insistere sulla strada diplomatica per avviare un processo di transizione in Venezuela, l’opzione militare resta ancora sul tavolo.

IL POTERE DELLE SANZIONI

Le sanzioni sono un’altra arma della comunità internazionale contro la dittatura di Maduro. Secondo Abrams, “hanno un effetto diretto perché rendono impossibile ai sanzionati di viaggiare o realizzare transazioni finanziarie negli Stati Uniti. Se la persona sanzionata è abituata a venire a Miami, e ha un appartamento o risparmi qui (cosa molto frequente), potrebbe ritrovarsi a non poterlo più fare. Ci hanno avvicinato persone del regime molto preoccupate per le sanzioni, chiedendo di toglierle, soprattutto quando colpiscono i familiari degli interessati. Ci sono molti di questi personaggi che hanno figli in università americane. Siamo convinti che queste sanzioni abbiano un impatto reale e concreto”. Nel caso invece che tali funzionari del regime cambino idea e inizino a collaborare con il governo di transizione venezuelano, le sanzioni potrebbero essere annullate.

IL RUOLO DI MOSCA

Per Abrams la Russia è molto importante per la sopravvivenza del regime. Prima di tutto per il valore psicologico e politico che dà al regime avere il sostegno di un Paese grande come la Russia. Ma non solo, l’appoggio di Mosca (e della Cina) bloccano le condanne del Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro Maduro. “Se i russi cambiassero idea – ha spiegato l’inviato americano -, credo che i cinesi farebbero lo stesso. Un altro motivo importante è Rosneft. Il Venezuela le deve molto denaro, l’anno scorso il debito era di 8 miliardi di dollari. Quando abbiamo sanzionato Pdvsa la prima cosa che loro hanno fatto è stato chiedere aiuto a Rosneft. E lo fanno su ordine di Putin. Credo che l’aiuto della Russia sia molto importante per contenere l’effetto delle sanzioni americane contro Maduro”.

LE CONDIZIONI DEL VOTO

Per gli Stati Uniti, la soluzione ideale per la crisi venezuelana sarebbe un processo di transizione, raggiunto dopo un negoziato tra governo e opposizione, per avviare nuove elezioni. Un’opzione condivisa con l’Unione europea. “Difficile è decidere come si arriva lì – ha aggiunto Abrams -. Per noi la risposta è che con Maduro non si possono celebrare elezioni. Come può formarsi un governo di transizione con lui al potere? Per noi accettare elezioni e permettere che Maduro resti dove è equivale a rinunciare al cambiamento”.

Abrams ha ricordato che alcuni dei loro “soci” in Europa stanno pensando di inviare osservatori elettorali in Venezuela, e che si può riformare il sistema elettorale: “È uguale. Nel periodo di transizione Maduro sarebbe alla guida dell’esercito, della polizia, dell’intelligence e dei colectivos (gruppi armati di civili, ndr), e manterrebbe il controllo con violenza e intimidazione”.

L’OPZIONE MILITARE

Per gli Usa, l’opzione migliore per la fine della crisi venezuelana è la pressione diplomatica, economica e politica. Detto questo, secondo Abrams è impossibile respingere totalmente l’opzione dell’intervento militare: “Nessuno avrebbe detto a George H. W. Bush – nelle elezioni del 1998 – che avrebbe finito per invadere Panama! Quindi, vedremo cosa ci porta il futuro. Al momento possono dire che abbiamo la capacità per usare la pressione militare”.


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