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Ecco la strategia di Cavusoglu (che guarda a Trump) per uscire dal pantano

È una strategia in tre punti quella delineata dal capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu per cercare di riemergere dal pantano della disputa con gli Stati Uniti sul sistema russo S-400. Primo, promettere reazioni non meglio identificate nel caso di sanzioni americane. Secondo, rivolgersi direttamente a Donald Trump e cercare di portare il dossier nel binario dei suoi rapporti diretti con Recep Tayyip Erdogan. Terzo, far balenare l’ipotesi che Ankara possa davvero rivolgersi alla Russia per rimpiazzare gli F-35 dopo che sarà definitiva l’uscita dal programma internazionale. La scorsa settimana, l’estromissione è stata ufficializzata dalla Casa Bianca, seguita da una specifica che prevede l’effettivo out marzo del prossimo anno.

SANZIONI E CONTROMISURE

Il ministro degli Esteri turco ha sviscerato la nuova strategia di Ankara durante l’intervista all’emittente Tgrt. La prima preoccupazione riguarda le sanzioni che potrebbero arrivare da oltre-oceano, promesse a più riprese da diversi alti esponenti dell’amministrazione americana per cercare di evitare l’arrivo nel territorio turco del discusso sistema missilistico russo. Da quando la prima consegna è stata ultima, l’ipotesi si è fatta più corposa, ragion per cui Cavusoglu si è trovato a promettere “contromisure”. Come si legge tra le righe delle sue, il colpo sarebbe durissimo per l’economia turca, con la valuta nazionale che ha già sofferto negli scorsi mesi anche solo per la possibilità che potesse applicarsi un regime sanzionatorio da parte degli Stati Uniti. Tra l’altro, il tema è attualissimo. Si parla in queste ore di un incontro alla Casa Bianca tra Trump e alcuni senatori repubblicani per discutere proprio l’opportunità di applicare le misure previste della Legge per il contrasto degli avversari degli Stati Uniti attraverso sanzioni (Caatsa).

LO SGUARDO A TRUMP

Secondo Cavusoglu, Trump non avrebbe intenzione di ricorrere alle sanzioni. Un riferimento che si somma alle numerose dichiarazioni dei rappresentanti turchi sui buoni rapporti tra i due leader. Un paio di settimane fa, l’ambasciatore di Turchia a Roma, Murat Salim Esenli aveva notato la “differenza di vedute” interna all’amministrazione americana, in particolare tra Casa Bianca (da una parte), e Pentagono e dipartimento di Stato (dall’altra). Sul dossier, ogni volta che hanno occasione di parlarne, i presidenti Erdogan e Trump “sono d’accordo”, aveva spiegato Esenli, salvo poi diversi messaggi puntualmente rilanciati dai due dipartimenti guidati da Mike Pompeo e Mark Esper. Qui sta il secondo punto della strategia turca, sperare in un dialogo diretto tra i due. La sponda del presidente americano potrebbe esserci. Pur annunciando l’uscita turca dal programma F-35, Trump era sembrato voler lasciare qualche spiraglio di recupero, evidenziando i “buoni rapporti” con l’omologo turco e attribuendo all’amministrazione Obama la colpa di aver spinto la Turchia ha scegliere l’S-400, avendogli rifiutato la vendita dell’alternativa americana, il Patriot.

IL DILEMMA DELL’IMPIEGO

Per tale opportunità Cavusoglu è stato piuttosto netto, tornando a difendere la bontà della scelta dell’S-400 e sostenendo che il sistema russo è “migliore di quello americano”. Poi, un’altra specificazione che ha il sapore della mano tesa: “Gli S-400 serviranno a mantenere la pace nella regione”. D’altra parte, alcuni osservatori notano che la risoluzione della disputa potrebbe essere proprio nelle modalità di impiego e nel luogo del dispiegamento dei sistemi russi. Su questo, sebbene poi smentito da Erdogan, aveva ipotizzato un utilizzo “solo in caso di emergenza”.

LE ALTERNATIVE ALL’F-35

Infine, il terzo punto della strategia turca: l’alternativa al Joint Strike Fighter. “Se Washington non ci darà gli F-35 – ha detto il capo degli Esteri – ci rivolgeremo altrove, in attesa di produrre i nostri jet”. Parole che hanno trovato solida sponda nei media a diffusione globale del Cremlino, da tempo impegnati a sottolineare la disponibilità della Russia (non citata da Cavusoglu) a offrire alternative all’avanzato caccia di quinta generazione. Ora è arrivata la proposta ufficiale, direttamente dal numero uno del colosso russo Rostec Sergei Chmezov: la Russia è pronta a vendere il caccia pesante Su-35. L’impressione è che l’ipotesi non faccia impazzire Ankara, che con convinzione ed entusiasmo aspettava 100 F-35 come spina dorsale del potere aereo del futuro. Altrettanto di basso profilo l’ipotesi del caccia indigeno. Il progetto TF-X per il nuovo jet prodotto dall’industria nazionale, presentato al salone parigino di Le Bourget, non garantisce tranquillità. Lo sviluppo è ancora nelle fasi iniziali, con primo volo previsto nel 2025 ed entrata in servizio nel 2028, in ogni caso in una fascia inferiore rispetto al già pronto velivolo di quinta generazione.

IL COLLOQUIO

La situazione è comunque complessa per gli Stati Uniti e per la Nato, con il rischio di erodere una coesione interna che ha dotato l’Alleanza di efficacia e stabilità. Per questo, si sta provando il tutto per tutto nel recuperare i rapporti tra Ankara e Washington. Secondo fonti diplomatiche turche citate dall’agenzia di stampa Anadolu, il ministro Cavusoglu avrebbe avuto una conversazione telefonica con Mike Pompeo. Al centro del colloquio ci sarebbe stata la crisi siriana, con un focus particolare sull’attuazione della road map per il centro di Manbij e sulla situazione a Idlib. Eppure, tra i due si è parlato anche di S-400 e di relazioni bilaterali. Forse, lo strappo non conviene a nessuno.

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