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La Turchia tira dritto sull’S-400, ma guarda a Trump. Il punto dell’ambasciatore Esenli

Ankara vuole l’S-400 russo e difficilmente ci rinuncerà. Allo stesso modo, non è disposta a privarsi degli F-35, gli avanzati velivoli di quinta generazione su cui ha puntato per le ambizioni di potenza più che regionale. Per questo, il tentativo turco è ora la separazione dei due dossier, tinteggiandoli entrambi come “politici” così da avere margine di manovra direttamente con Donald Trump. È quanto si legge tra le righe delle dichiarazioni che l’ambasciatore di Turchia a Roma, Murat Salim Esenli, ha rilasciato nel corso di un incontro con la stampa italiana, organizzato dalla sede diplomatica in occasione del terzo anniversario del fallito golpe del 2016.

UNA QUESTIONE “POLITICA”

La natura della diatriba con Washington è “meramente politica”, ha spiegato il diplomatico. A certificarlo, ci sarebbe la dotazione ad altri tre Paesi della Nato (Slovacchia, Grecia e Bulgari) del sistema missilistico russo S-300, versione a raggio minore rispetto a quello che sta arrivando sul suolo turco. Certo, rispetto ai succitati tre Paesi, il peso geopolitico della Turchia è estremamente maggiore, tale per cui un suo scivolamento nelle braccia di Putin sarebbe decisamente più preoccupante per gli Usa. In ogni caso, l’ambasciatore Esenli ha notato la “differenza di vedute” interna all’amministrazione americana, in particolare tra Casa Bianca (da una parte), e Pentagono e dipartimento di Stato (dall’altra). Sul dossier, ogni volta che hanno occasione di parlarne, i presidenti Recep Tayyip Erdogan e Donald Trump “sono d’accordo – ha notato Esenli – ma poi esce una nota del dipartimento della Difesa o del dipartimento di Stato che afferma il contrario”. Si tratta di uno “scollamento” che confermerebbe la natura politica della questione.

ALTRE RAGIONI DI FRIZIONE

A irrigidire le posizioni dei funzionari americani, ha suggerito l’ambasciatore turco, potrebbero avere contribuito le critiche che Ankara ha mosso al sostegno di Washington nei confronti dei combattenti curdi dell’Ypg nel nord della Siria. Fanteria per l’avanzata Usa contro l’Isis, tali forze sono considerate dalla Turchia un’organizzazione terroristica. C’è poi il nodo relativo al fallito golpe del 2016. Esenli ha citato come “motivo di attrito” l’asilo concesso dagli Stati Uniti a Fetullah Gulen. Ankara ha più volte chiesto l’estradizione di colui che i turchi considerano la mente dietro il tentativo di colpo di stato. “Abbiamo presentato tutti i documenti che provano il suo coinvolgimento”, ha rimarcato il diplomatico turco. Se la questione S-400 è politica, lo è altrettanto quella F-35. Gli Stati Uniti sembrano ormai determinati ad escludere la Turchia dal programma, avanzando questioni di natura tecnica e operativa.

IL DOSSIER F-35

Il velivolo di quinta generazione non è infatti interoperabile (punto su cui spinge la Nato) con il sistema russo. A ciò si aggiunge il rischio che gli assetti dell’S-400 possano carpire (e inviare a Mosca) preziose informazioni sul Joint Strike Fighter. La minaccia di esclusione dal programma è stata accolta inizialmente con scetticismo ad Ankara, considerata una ritorsione difficile da attuare. Eppure, nel corso dell’ultimo anno, quella che sembrava un’ipotesi remota ha preso sempre più corpo, trasformandosi in valutazioni tecniche sull’impatto dell’uscita della Turchia e salendo i gradini della gerarchia militare e istituzionale statunitense. Difatti, dopo la tranquillità espressa dallo stesso Erdogan fino a qualche settimana fa, la Turchia ha iniziato a giocarsi la carta della “internazionalità” del programma, sostenendo che nessun partner può essere escluso da un altro. Lo ha detto anche Esenli, specificando che nei contratti di acquisizione “non c’è alcuna clausola che prevede l’esclusione dal partenariato per i Paesi che acquistano gli S-400”.

LA SCELTA SUL SISTEMA RUSSO

D’altra parte, ha aggiunto, la scelta per il sistema russo “non è arrivata dalla mattina alla sera”. Sarebbe piuttosto il risultato di un processo negoziale con gli Usa durato per anni e terminato senza successo. Fu nel 1990, ai tempi dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, ha notato Esenli, che Ankara chiese alla Nato di contribuire alla difesa aerea del territorio turco a fronte di possibili minacce esterne. Nel 2015, ha aggiunto, la Spagna ha dispiegato le sue batterie Patriot nella provincia di Adana, mentre l’anno successivo l’Italia ha inviato i suoi Samp-T nella vicina provincia di Kahramanmaras. Per i confini sud-orientali, Ankara ha poi chiesto l’acquisizione di altri sistemi di difesa missilistica e non avrebbe “mai ricevuto riscontri positivi da parte degli Stati Uniti”. Da qui, ha rimarcato Esenli, la decisione di acquistare gli S-400.

E LA PROPOSTA DEL PATRIOT?

In realtà, gli americani rivendicano da tempo la loro proposta, sbandierata in ogni occasione dai vertici d’oltreoceano: il Patriot. Anche lo scorso dicembre, a un anno esatto dalla formalizzazione dell’accordo tra Mosca e Ankara sull’S-400, dal dipartimento di Stato Usa era arrivata una prima approvazione per la vendita della più moderna versione del sistema Patriot, la stessa che ha già registrato sei clienti internazionali (l’ultima, la Svezia, ha siglato il contratto ad agosto 2018). Seguiva la bocciatura turca alle proposte del 2013 e del 2017, entrambe rifiutate per la scarsa prospettiva (a detta dei turchi) di trasferimento di lavoro al comparto industriale di Ankara.

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