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Cara Ventura, non so se i liberali per Salvini esistono ma il liberalismo è un’altra cosa

Sinceramente non so a chi Sofia Ventura si riferisca, poiché non fa i nomi dei “colpevoli”, ma non nascondo che un po’ mi sono sentito chiamato in causa leggendo su L’Espresso un suo intervento dal titolo: “Quei liberali immaginari che stanno col Capitano”. Non fa nomi la Ventura, ma crea un idealtipo, falso come tutte le categorizzazioni: quello dei “liberali per Salvini”.

Anche se poi colloca accanto ad essi i liberali “che non si dicono per Salvini, ma che trattano della sua azione e delle sue politiche come se fossero normali in una democrazia”. Ora, io, giusto per complicare un po’ il quadro, vorrei aggiungere una terza categoria: coloro, liberali e non, che giudicano “normale” tutto ciò che ruota attorno a loro, per il semplice fatto che esiste e da cui quindi non si può astrarre. Costoro – “studiosi, giornalisti, in generale intellettuali che partecipano al dibattito pubblico” – hanno, proprio in quanto tali, come primo dovere, quello di capire e cioè di considerare le cose nella loro “realtà effettuale”, senza né lodare né biasimare.

La categoria di “normalità” è perciò fuori luogo, e uno studioso non dovrebbe utilizzarla mai. Essa è già una categoria partigiana, valutativa, e chi la usa, in quel preciso momento, già non è più uno “studioso” ma fa politica. La cultura come militanza è un vecchio e triste lascito del “secolo breve”, a cui Sofia Ventura, come tanti altri, è ancora troppo legata. Ma un altro lascito di quel secolo è quello che potremmo chiamare il carattere “modellistico” del pensiero politico: c’è “lì fuori” un “modello” ed è esso e solo esso che mi dice se io sono socialista, cattolico, fascista, comunista o… liberale. Tanto più sono una di queste cose quanto più “applico” in maniera perfetta il modello. Bene, con sua buona pace, vorrei dire a Sofia Ventura che il liberalismo vero si è posto sempre in un’altra ottica, e proprio per questo si è definito cosa diverse dalle altre ideologie. Il liberalismo non ha mai avuto modelli, ma si è posto come una continua e sempre diversa “risposta a sfida”: non si è mai definito perché si è vissuto come qualcosa da ridefinirsi sempre e concretamente nelle diverse situazioni storiche. Non lo dico io, ma lo ha scritto autorevolmente uno dei padri fondatori di quella “scuola bolognese” di cui l’autrice dell’articolo, se non erro, fa parte: il grande Nicola Matteucci.

C’è poi un evidente slittamento semantico nell’articolo de L’Espresso: per Ventura non si può essere con Salvini perché il leader della Lega stravolgerebbe le forme della democrazia liberale. Ma la la democrazia liberale, cioè costituzionale e rappresentativa, è una cosa; il liberalismo è un altra. Il secondo si è realizzato in età moderna nella prima, è evidente. Ma quel modello è andato ormai in crisi, e non certo per colpa di Salvini e nemmeno di Trump o Boris Johnson. La sua crisi risale a molto prima, almeno agli Sessanta del secolo scorso. E anche il nostro Paese nella sua storia repubblicana
ha assistito, da ogni parte (anzi da sinistra più che da destra), a evidenti e forti torsioni di quel modello ideale.

Oggi si è forse solamente arrivati a un punto di non ritorno, e di questa situazione che, ci piaccia o no, è in atto il modo di fare politica di Salvini e quello dei suoi avversari pari sono (anche se il primo è più bravo e più efficace). Crediamo davvero che, con le nuove forme assunte dalla politica, si possa far rinascere il vecchio modello della democrazia rappresentativa classica semplicemente facendo resistenza ai “barbari”? Una battaglia persa, chiaramente. Siamo nel XXI secolo: nell’epoca dei social e della “realtà aumentata” e trasfigurata. Molto più utile e serio sarebbe, per uno studioso, cercare di capire in modo il più possibile avalutativo ciò che sta accadendo. E, per un liberale, fatta salva l’umana fallibilità, cercare di trovare risposte nuove e adeguate alla situazione creatasi. Senza realismo politico e senza senso della storia, nemmeno il liberale va troppo lontano.

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