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Von der Leyen e i voti della Lega. L’opinione di Ocone

Martedì sera alle ore 18 il Parlamento europeo sarà chiamato a votare il nome prescelto dai governi per la guida della Commissione. Tuttavia quello che sembrava quasi un passaggio di routine, vista la netta maggioranza che avrebbe dovuto sostenere sulla carta Ursula von der Leyen, rischia di essere un clamoroso fallimento.

Sorpresa delle sorprese: la delfina di Angela Merkel non ha ancora la maggioranza richiesta di 374 voti e sarà costretta ad accettare quegli eventuali provenienti da una parte dei gruppi “sovranisti”. L’apertura “a destra” si fermerà, infatti, davanti a “Identità e democrazia”, cioè il gruppo parlamentare di Matteo Salvini e Marine Le Pen (primi nelle elezioni del 26 maggio in due importanti “Paesi fondatori” quali l’italia e la Francia).

Cosa è successo? Come è venuta meno una maggioranza che sembrava inscalfibile? Soprattutto che significato ha tutto questo? Prima di tutto è saltata la facile divisione, avvalorata dai mezzi di comunicazione mainstream, del Parlamento di Strasburgo fra forze europeiste e antieuropeiste (in verità semplicemente critiche dell’Unione europea come è adesso). O meglio si è visto come questa frattura sia attraversata da altre e altrettanto profonde faglie che dividono il primo non meno che il secondo campo.

Prima di tutto i verdi, che per molti aspetti integrano in una visione europeista molti elementi post-politici, se non addirittura “populisti”, hanno fatto sapere che non voteranno VdL (come viene ormai chiamata). In verità, il malumore sul metodo con cui si è giunti al compromesso sul nome dell’ex ministro della Difesa tedesco, in barba ai tanto decantati Spitzenkandidaten sottoposti agli elettori. attraversa tutta l’assemblea di Strasburgo. È vero che in politica bisogna essere realisti, ma proprio il realismo avrebbe imposto, a leader più lungimiranti (che oggi in Europa mancano), cautela nel far passare ancora una volta presso l’opinione pubblica il messaggio che l’ Unione, chiusa in sé stessa, in fondo se ne infischi del voto dei suoi cittadini.

Che essa non sia democratica, da questo punto di vista, è fin troppo evidente, nonostante le autorevoli ma a mio avviso errate opinioni espresse da Gianfranco Pasquino. L’impressione generale, avvalorata dalle indiscrezioni sul programma che sarà fatto pervenire ai deputati prima del voto, è poi che la nuova presidenza seguirà la scia delle precedenti: sarà grigia e non tenterà nemmeno quel volo d’aquila che sarebbe necessario per ridare smalto a un progetto comunque in profonda crisi. Non sembra poi tenere nemmeno il fronte dei socialisti, scottato dal risultato elettorale e anche dal fallimento della candidatura di Frans Timmermans alla presidenza. E i malumori sono presenti persino nel gruppo macroniano di “Renew Europe” che la stampa si ostina a definire “liberale” anche se non lo è nemmeno più nel nome.

Abbastanza grave, in tutta questa vicenda, è poi il sopravvenuto rifiuto da parte di VdL dei voti di Matteo Salvini, che pure le avrebbero dato ossigeno. Non volere nemmeno verificare la disponibilità leghista (l’incontro con il capogruppo Marco Zanni di domani mattina è stato annullato) è un errore politico e strategico e anche, a mio avviso, uno sfregio al nostro Paese. Sulla scelta sembra che abbia giocato da un parte l’aut aut, francamente “antitaliano” del Pd, dall’altra la campagna mediatica internazionale di cui Salvini è in questi giorni fatto oggetto (da “The Economist” a “BuzzFeed”, per intenderci). Un atteggiamento poco lungimirante quello di certe èlite che dovrebbero invece apprezzare l’aprirsi ad una prospettiva negoziale del nostro vicepremier e fare quello che la politica ha sempre fatto: incorporare le forze antisistema recependone le richieste.

Il “muro contro muro” non solo non faciliterà questo processo, ma, essendo di fatto patrocinato da una Europa in crisi, potrebbe causarne una lenta involuzione. Si tratta poi di un dispetto all’Italia perché la tessitura, patrocinata dal presidente Giuseppe Conte, prevedeva come contropartita un commissario forte per il nostro Paese. Sarebbe auspicabile che la Lega facesse convergere comunque i suoi voti sul candidato intergovernativo alla presidenza per evidenziare ancora più le contraddizioni delle forze che hanno in mano l’unione. Ma temo che non sarà così e il “muro” innalzato a Bruxelles trovi il corrispettivo anche a Roma. Quella che sembra mancare un po’ ovunque è la Grande Politica, quella con una visione.


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