Smantellamento di un comparto industriale d’eccellenza, negazione del supporto all’export e un assordante silenzio sulla partecipazione all’Alleanza Atlantica. Nei “punti programmatici” che Luigi Di Maio ha presentato a Giuseppe Conte condizionandone la formazione del governo giallo-rosso, emerge una politica di difesa su cui difficilmente i dem potranno concordare. Ne abbiamo parlato con il generale Mario Aprino, già capo di Stato maggiore della Difesa. Il punto in questione è il tredicesimo: “Porre fine alla vendita degli armamenti ai Paesi belligeranti, incentivando i processi di riconversione industriale e maggiore tutela e valorizzazione del personale della difesa, delle Forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco”. Ma andiamo con ordine.
QUALI PAESI BELLIGERANTI?
Per quanto riguarda lo stop alla vendita di materiali d’arma ai Paesi belligeranti, “in termini di principio può apparire giusto e sacrosanto – ci ha spiegato Arpino – ma, a forza di dissertare sui princìpi, stiamo andando a fondo”. Difatti, una simile proposta “ha senso solo se lo fanno tutti gli Stati, solo se la comunità internazionale riesce a mettersi d’accordo affinché ogni Paese con potenziali vendite d’arma, anche attraverso triangolazioni, non lo faccia più”. Lo scenario appare tuttavia piuttosto utopistico. “Se interrompiamo solo noi – ha aggiunto il generale – il risultato è che gli altri vendono il doppio, che gli avversari e i competitor con più pelo sullo stomaco, che si disinteressano dei princìpi e agiscono pragmaticamente, hanno carta bianca”.
E IL SUPPORTO ALL’EXPORT?
Senza contare poi il problema di definire la “belligeranza” degli Stati in un contesto internazionale contraddistinto da guerre per procura, cyber-attacchi e guerre ibride, in cui è molto difficile identificare chi sia o meno in fase di conflitto. L’impressione, notano alcuni osservatori, è che si cerchi di rispolverare alcune idee pentastellate della primissima opposizione, alcune delle quali tuttavia superate (o almeno attenuate, come nel caso dello stop alle vendite all’Arabia Saudita) durante la fase di governo del Conte 1. Tra queste anche il supporto all’export del settore, a partire dal tema degli accordi governo-governo richiesti a gran voce dall’industria. Su questo, c’è stato un corposo lavoro negli ultimi mesi, tra Difesa, Parlamento e palazzo Chigi (è forse un modo per rinnegarlo?).
UNA PROPOSTA ANTI-INDUSTRIALE
In ogni caso, a preoccupare forse di più è il secondo segmento del punto programmatico: incentivare i processi di riconversione industriale. “Qui – ha notato Arpino – bisognerebbe intendersi su cosa significhi; sembra addirittura più sibillino di ciò che era scritto nel contratto di governo giallo-verde”. Bisognerebbe capire se si voglia proporre “la trasformazione delle industrie della difesa in aziende per la produzione di frigoriferi, vasche da bagno e televisori, oppure se intendono altro; vista la prima frase, mi sembra che la proposta assuma il carattere di una vera e propria smobilitazione”. Significherebbe smantellare “tanti siti di eccellenza produttiva su tutto il territorio nazionale”, ma anche “abbandonare tutte le attività che presto saranno premiate dalla nascente Difesa europea con i 13 miliardi di euro in arrivo con il nuovo Fondo di Bruxelles”. Se vuol dire questo, ha aggiunto Arpino, “allora ci metteremo l’animo in pace e ci prepareremo a essere condannati all’irrilevanza come Paese”.
SE SI CONFONDE DIFESA CON SICUREZZA
Infine, la terza parte del punto, “altrettanto sibillina”: maggiore tutela e valorizzazione del personale della difesa, delle Forze dell’ordine e dei Vigili del fuoco. Il riferimento è probabilmente al tema dei sindacati militari, avviato dal ministro Elisabetta Trenta su sentenza della Corte Costituzionale e ancora in attesa della necessaria legge di riferimento per normare le attività e i limiti delle nuove associazioni. Tuttavia, nota il generale Arpino, il fatto che se ne parli insieme a Vigili del Fuoco e Polizia “evidenzia ancora una volta l’equivoco tra sicurezza e difesa, due cose che sono però ben distinte”. Certo, lo strumento militare “può concorrere alle funzioni di sicurezza in alcuni casi, in base alle disponibilità, ma questo non può essere il suo compito principale”. Su questo, nota ancora Arpino, “andrebbe rivista la situazione complessiva, a partire da un re-editing dell’operazione Strade sicure fino a una revisione generale, attenta e istituzionale, per la separazione dei compiti”.
E LA NATO?
In più, “se valorizzare significa inserire nelle Forze armate i sindacati civili, bisognerebbe più propriamente parlare di disvalorizzazione, poiché si tratterebbe di rinunciare alla specificità militare”. Se si guarda a ciò che non viene scritto nel tredicesimo dei punti presentati oggi a Conte, si nota che mancano riferimenti alla collocazione euro-atlantica (forse data per scontata in quanto ribadita ieri dal premier incaricato dal Quirinale), ma soprattutto manca ogni menzione della Nato. “Ciò significa – chiosa Mario Arpino – che la Difesa continua a non interessare”. Il tema appare “tratteggiato in modo molto approssimativo, magari in attesa che venga completato dal Pd”.