Nonostante gli sforzi profusi dal presidente del Consiglio Conte e da tutti gli esponenti del governo uscente, non vi è dubbio che la coalizione gialloverde si sia caratterizzata sul piano internazionale per aver accentuato i legami con paesi come Cina, Russia ed Iran ed aver, d’altra parte, allentato i rapporti con Stati Uniti ed Unione europea. Il combinato disposto delle numerose dichiarazioni roboanti frutto più della volontà di parlare agli elettori che alle cancellerie straniere con le obiettive prese di posizione (si veda il clamoroso sostegno al regime venezuelano di Maduro), ha determinato una effettiva marginalizzazione del nostro Paese.
A svolgere una analisi puntuale è, ancora una volta, Paolo Mastrolilli su La Stampa. “Conte è stato l’unico leader del G7 con cui Trump non ha previsto un bilaterale formale. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif, grande sorpresa del vertice e ambiziosa mossa diplomatica di Macron, ha sottolineato via Twitter di aver visto l’ospite francese e condotto un briefing con britannici e tedeschi, dimenticando noi, che pure abbiamo enormi interessi nel suo paese. Non abbiamo partecipato alla conferenza sul Sahel, cioè la principale regione di transito dei migranti, nonostante la retorica prevalente in Italia sia che dovremmo aiutarli a casa loro. Trump ha discusso di Libia nei bilaterali con Macron e Merkel”. Un bilancio magro, molto. E le domande sorgono spontanee ed è ancora l’inviato del quotidiano torinese a metterle nero su bianco. “Davvero crediamo di poter continuare a prosperare nell’isolamento, o grazie alla nuova Via della Seta?”. La conclusione è consequenziale. “La speranza è che i leader del prossimo governo abbiano ben chiara questa emergenza, altrimenti il declino a cui ci stiamo destinando diventerà irreversibile”.
Già, il nuovo governo che – se otterrà la fiducia del Parlamento – vedrà un ruolo dei 5 Stelle ancora da protagonista. Ed è alla forza politica guidata da Luigi Di Maio che, domenica scorsa, si era rivolto proprio il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari. Il punto di partenza è obiettivo. “I Cinquestelle sono ancora un movimento che preferisce la democrazia elettronica a quella rappresentativa, che aggredisce i corpi intermedi come sindacati, Confindustria e mezzi di informazione, che predica la decrescita felice, è ostile alle grandi infrastrutture come la Tav ed avversario del business. Per non parlare delle posizioni filo-cinesi sul tema strategico del 5G, distaccate sulla Nato e favorevoli ai gilet gialli che mettono a ferro e fuoco il cuore di Parigi”. L’alleanza con il Pd può aprire una discontinuità importante anche nel Movimento. “I grillini – spiega Molinari – hanno l’importante opportunità di dimostrare di volersi lasciare alle spalle l’identità rudimentale di partito di protesta che ha contribuito ad isolare l’Italia in Occidente, ad aggravare la crisi economica e a indebolire dal di dentro le istituzioni repubblicane. Intraprendendo tale strada, Di Maio può guidare la trasformazione moderata di una grande forza populista, creando un importante precedente in Europa, e diventando un modello politico in questa stagione di transizione”.
Un wishful thinking? Probabilmente. Ma anche una necessità. Non dovrebbe un azzardo esagerato immaginare che il downgrade internazionale dell’Italia rappresenti per il Capo dello Stato un cruccio se possibile più grande dei numeri parlamentari necessari alla nascita del governo.