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Conte, la contessa von der Leyen e il Capitano spiaggiato

Di Corrado Saponaro

La stipula del contratto di governo tra lega e M5S occorsa 14 mesi fa aveva come unico collante l’esigenza di assemblare in una coalizione due forze ferocemente anti-europee: l’una, il M5S, apparentato nell’Europarlamento allo UKIP di Nigel Farage; l’altra, la Lega, politicamente legata a Marine Le Pen.

Il governo gialloverde ha posto in atto due misure manifesto. La prima, il reddito di cittadinanza, che pur condivisibile nell’auspicio di dare sostegno alle povertà emergenti, è basata su presupposti sconclusionati e una assurda procedura di erogazione. L’altra, quota 100, sarebbe stata condivisibile solo se applicata ai lavori realmente usuranti. Allo stato, né la prima, né la seconda misura sono in alcun modo capaci di promuovere effetti positivi sull’occupazione.

Il Primo Ministro Giuseppe Conte ha avuto la capacità, accorgendosi per tempo del gioco al massacro tra i partiti di governo, di uscire dall’angolo e di tessere sin da Dicembre 2018 una tela di rapporti con l’UE e le cancellerie internazionali per permettere all’Italia di avere un ruolo attivo in Europa ed un confronto con le grandi democrazie. È stato Giuseppe Conte a trovare un accordo con Emmanuel Macron e Angela Merkel per facilitare l’elezione di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione UE, resa possibile dai 14 decisivi voti nell’Europarlamento da parte del M5S. Questo atto ha fondamentalmente diluito il collante della coalizione.

A Strasburgo è stato dunque piantato il seme della crisi politica che ha portato all’inasprimento della conflittualità all’interno del Consiglio dei Ministri. Dopo di che sondaggi, selfie, e la musica techno delle spiagge alla moda della riviera romagnola hanno spinto Matteo Salvini a voler rompere un’alleanza che lo avrebbe visto col passare del tempo sempre più subalterno al proprio alleato.

La rottura dell’alleanza di governo ha una sua cinica logica comprensibile alla luce dell’instabilità perenne di una politica intrappolata nella terra di nessuno della transizione tra prima e seconda repubblica. Confusa dalla impropria commistione tra parlamentarismo e leadership carismatica la politica segue percorsi inevitabilmente propri ma purtroppo fuori sincrono con le aspettative del Paese reale. Questo è prevedibile, ma ovviamente non mitiga il pregiudizio all’immagine internazionale dell’Italia e alla sua credibilità davanti ai partner internazionali ed ai mercati.

La genesi di questa strampalata crisi ha quindi se non altro mostrato la necessità di recuperare la capacità di eseguire una politica responsabile e razionale, cioè, in ultima analisi, la necessità di riaggregare al centro una forza politica liberale democratica capace di mettere in sicurezza la collocazione Atlantista dell’Italia nel quadro di una cooperazione europea che va completamente rinnovata nelle regole di base ma non abbandonata senza alternative, assumendo posizioni filocinesi e avventurandosi in derive filorusse.

In questo senso, è presumibile che la saggezza del Colle sarà ancora una volta risolutiva. Dalle consultazioni con il Presidente Sergio Mattarella potrebbe emergere un governo istituzionale che, pur fortemente riformista, sarebbe l’unica formula capace di smussare quelle asperità anti-sistema che indeboliscono l’influenza internazionale dell’Italia e la tenuta dell’economia. E proprio la coalizione istituzionale potrebbe accelerare la gemmazione dell’atteso partito liberaldemocratico, associato all’ALDE, che consentirebbe l’allineamento della politica interna allo schema europeo dell’alleanza tra Ppe (in Italia FI), S&D (in Italia PD) e ALDE (privo di un corrispondente a Roma).

Anzi, l’accentuazione di certe insensate suggestioni – sproloqui sulla decrescita felice e altre fantasticherie new age – prodotte dalla mancanza di competenze, rende la correzione di rotta non solo urgente ma anche tutto sommato politicamente facile, anzi irresistibile.

Secondo il Responsabile Esteri del PRI (partito fondatore dell’ALDE), Bepi Pezzulli: “esiste nell’elettorato un sentimento antimoderno, che osteggia la crescita associando, con un riflesso condizionato, ogni iniziativa di sviluppo a corruzione, devastazione ambientale e aumento delle disuguaglianze. Occorre dire con pacatezza, ma chiaramente, che né la deindustrializzazione, né l’antimodernità sono una risposta agli eccessi provocati da regole di base sbagliate, siano esse le regole europee o le regole della globalizzazione”. La capacità di perseguire la crescita con credenziali economiche credibili e l’equità con provvedimenti di sostegno alle povertà emergenti sostenibili e non assistenziali è la cifra del centrismo liberale democratico. Chi studia, chi lavora, chi produce, chi assiste – anche volontariamente – i deboli, chi si rassegna nell’astensione, il partito oramai maggioritario nel Paese, ne costituisce la base elettorale istantanea.

Così come costituisce la cifra del centrismo liberale democratico l’alleanza strategica con gli Usa che non può non essere il fondamento della politica estera. È soltanto la chiara alleanza con Washington DC che può salvare la casa comune europea. L’Europa o è Atlantica o sparisce. La chiarezza su questo punto avrebbe potuto prevenire molti mali. Fere libenter homines id quod volunt credunt.

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