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Digitalizzazione e big data. Ecco come semplificare il turismo

Di Oreste Pollicino e Valerio Lubello

Riforme frenetiche, iperattività e frammentazione: è quanto emerge da un’osservazione puntuale dell’attuale normativa afferente al turismo. In Italia gli interventi quadro del legislatore in materia si sono sovrapposti alle funzioni amministrative affidate agli enti locali, delineando uno scenario a dir poco caotico. Non hanno invertito la tendenza la legge costituzionale 3/2001 (che ha devoluto la materia alla competenza residuale delle Regioni) e il Codice del turismo (Dlgs 79/2011), dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale per eccesso di delega nel 2012. Alcune Regioni presentano un quadro normativo che risale a decenni fa, altre lo hanno modificato negli ultimi cinque anni, con cadenza perfino annuale. Proprio la frequenza delle modifiche è un altro elemento differenziante, variando da pochi mesi a diversi anni.

Su questo sfondo, le norme regionali applicabili alle strutture extra-alberghiere si sono moltiplicate, con contenuti estremamente variabili. Basti pensare a caratteristiche e definizione di ciascuna tipologia ricettiva, considerando anche nuove forme contrattuali come la locazione breve, sempre più rilevante anche in ambito turistico, e in crescita perché avvantaggiata dallo sviluppo del digitale. La classificazione è estremamente variegata su tutto il territorio nazionale: l’agriturismo è l’unica tipologia a essere uniformemente condivisa; tutte le altre sono state introdotte o disciplinate in modo disomogeneo.

Nemmeno l’iter seguito dai profili autorizzatori è uniforme: spesso è necessaria una Segnalazione certificata di inizio attività (Scia), mentre in altri casi è richiesta una comunicazione allo Sportello unico per le attività produttive (Suap).Questo è legato al concetto di imprenditorialità, requisito obbligatorio in alcune Regioni, ma eventuale in altre. Una struttura ricettiva deve poi effettuare comunicazioni a livello statale, regionale e comunale: alla questura, i dati dei turisti, la durata e il periodo del soggiorno; alla Regione vanno segnalati altri dati, anonimi, per le statistiche sui flussi turistici; al Comune quelli per la riscossione dell’imposta di soggiorno.

I codici identificativi regionali, ultimamente in voga, riflettono questo andamento: introdotti per monitorare i fenomeni legati all’home-sharing, variano da Regione a Regione per iter di rilascio, perimetro, formato e specifiche tecniche, sanzioni in caso di inadempienza. Che fare? Urge individuare elementi di riforma, considerando le competenze in evoluzione di Stato e Regioni. Lo stimolo più interessante pare venire dall’impatto del digitale nel mercato turistico e dalle possibilità offerte dalla tecnologia.

Digitalizzazione e big data possono infatti essere un valido alleato per semplificare il quadro amministrativo, favorire la lotta all’evasione fiscale, la sicurezza e la raccolta di dati a fini statistici. Immaginando un punto di arrivo tecnologicamente sostenibile ed efficiente, come quello di un portale unico per gli adempimenti, per poi riflettere su quali strumenti giuridici possano essere in grado di traghettarci verso quell’orizzonte.

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