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5G e non solo. Il ruolo dell’Europa nel conflitto tecnologico tra Usa e Cina

Di Stefano Mele e Domenico Bevere

L’Economist, in un recente articolo, ha paragonato il mercato dei dati a quello del petrolio, definendolo l’oro nero del XXI secolo capace di influenzare, attraverso il suo controllo, gli equilibri di potenza economico-politici su scala globale. Non è un caso, infatti, che la competizione tra Washington e Pechino delinei la sua vera natura nell’alveo di un conflitto per la leadership tecnologica – con i primi ancora in vantaggio competitivo – al fine di assicurarsi il controllo di un settore nevralgico dell’economia mondiale come il 5G. Una battaglia che, peraltro, passa anche attraverso alcuni mirati attacchi cibernetici, tesi principalmente a colpire l’economia, la leadership o la segretezza delle informazioni dello Stato avversario.

In questo scenario, la Cina, segnata nel 2018 dal ritmo di crescita più debole dal 1992 (+6,2%) e da una incombente trappola del reddito medio, punta a giocare un ruolo di principale fornitore di tecnologia, obiettivo che rientra nell’ambizioso piano di trasformazione dell’economia nazionale “Made in China 2025” volto a rendere il Paese, entro il 2049, una delle maggiori potenze economico-industriali del pianeta attraverso la creazione di un rapporto simbiotico tra il mondo civile e quello militare. Per far ciò, il governo cinese ha istituito una serie di incentivi alle proprie imprese (esenzioni fiscali, prestiti a basso tasso di interesse e sussidi in denaro) ed avviato una stretta collaborazione con i colossi tecnologici Huawei – passata da 28 miliardi di dollari di entrate del 2009 a 107 miliardi di dollari del 2018 – e Zte, di proprietà del governo cinese, i quali hanno sviluppato un piano quinquennale da 400 miliardi di dollari per accelerare lo sviluppo del 5G entro il 2020.

L’amministrazione Trump, a seguito dell’emanazione da parte del presidente Xi Jinping nel 2017 di una legge che impone alle organizzazioni e ai cittadini cinesi di sostenere, cooperare e collaborare nel lavoro dell’intelligence nazionale, sta esercitando una forte pressione su alleati e partner affinché escludano i colossi cinesi dallo sviluppo delle infrastrutture nazionali del 5G. Da tempo, infatti, gli Stati Uniti hanno deciso di intensificare la loro pressione principalmente contro Huawei e Zte, arrivando di recente a chiedere al Canada l’arresto di Meng Wanzhou (Cfo di Huawei) con l’accusa – non ancora cristallizzata all’interno di un tribunale – che l’azienda cinese avrebbe venduto tecnologie all’Iran aggirando l’embargo imposto dagli Usa. La campagna di sensibilizzazione si fonda principalmente sul sospetto da parte di Washington che in particolare Huawei possa utilizzare la penetrazione nel mercato occidentale delle sue tecnologie per prelevare informazioni sensibili e passarle ai servizi segreti cinesi, così da favorire la costruzione di un nuovo imperialismo di Pechino attraverso il mercato delle tecnologie.

L’Europa, dunque, si trova nel mezzo della competizione tra queste due superpotenze, che parte dal deficit commerciale e dalla guerra dei dazi per proiettarsi fino a questo conflitto per il predominio tecnologico.

Sul piano economico, il recente rapporto del Gsma 2019 “The Mobile Economy” ha stimato che il contributo atteso al Pil europeo dall’impiego nell’economia delle tecnologie e servizi mobile sarà pari al 4,6% (3.900 miliardi di dollari), in crescita nei prossimi 5 anni al 4,8% ed occuperà 32 milioni di posti di lavoro (14 milioni diretti e 17 milioni attraverso industrie connesse). Le imprese di telecomunicazioni incideranno sul bilancio dello Stato per un valore pari a 8-10 miliardi di euro/anno, circa il 2% degli introiti fiscali nazionali e un contributo al Pil italiano stimato in 90 miliardi di euro (5%).

Il contributo all’economia globale dei servizi 5G sarà di 2.200 miliardi di dollari entro il 2034, il 5,3% del Pil. I settori maggiormente interessati saranno: manifattura ed utility (35%), servizi professionali e finanziari (29%), settore pubblico (16%), Ict e commercio (14%), agricoltura e attività estrattiva (6%).

Entro il 2023, il 5G supererà l’attuale 4G e il suo mercato di punta dei dispositivi connessi sarà la Cina con 263 milioni (Nord America: 145 milioni, Asia Pacifico: 135 milioni, Europa: 123 milioni, America Latina: 54 milioni, Medio Oriente e Africa: 54 milioni). Ciò, grazie alla roadmap tecnologica decisa dal governo e dalle capacità finanziarie degli operatori.

Lo “State of digital communications” di Etno, inoltre, ha stimato in Europa 140 milioni di connessioni entro il 2025. In termini di impatti indiretti, invece, le grandi società di telecomunicazione hanno creato un valore aggiunto di 139,4 miliardi di euro e pagato oltre 42 miliardi di euro di tasse nel 2017. Lo studio osserva anche come l’investimento pro capite in Europa per le reti (83,2 euro) sia di molto inferiore a quello registrato in Giappone (188,5 euro) e Stati Uniti (135,3 euro).

Per quanto concerne le scelte europee, il governo tedesco ha a lungo considerato di impedire a Huawei di poter partecipare allo sviluppo dell’infrastruttura nazionale del 5G, rafforzando i requisiti di sicurezza per la costruzione della rete mobile. Dopo 52 giorni di asta, le frequenze tedesche sono andate ai 4 colossi della telecomunicazione: Deutsche Telekom, Vodafone, Telefónica e Drillish con un investimento da 6,6 miliardi di euro. Ma una scelta su chi dovrà realizzare l’infrastruttura non è ancora stata compiuta. Allo stesso modo il Consiglio Nazionale di Sicurezza britannico sembrava orientato ad estromettere Huawei dalla gestione delle parti essenziali della rete, consentendo però un accesso controllato alle parti di minore importanza. Anche questa decisione però è stata rimandata. L’Italia, a differenza di altri Stati, ha deciso di non escludere a priori i colossi tecnologici cinesi, adoperando per creare alcuni “anticorpi” contro questi potenziali pericoli. Il primo tra tutti è l’istituzione del Comitato di Valutazione e Certificazione Nazionale (Cvcn) per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell’assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi destinati ad essere utilizzati per il funzionamento di rete, servizi ed infrastrutture strategiche. Un progetto tanto utile quanto ambizioso, che si raccorda perfettamente all’interno dell’obiettivo strategico dell’Unione europea di creare finalmente un mercato certificato del livello di sicurezza cibernetica di prodotti e servizi tecnologici. Il secondo, invece, è legato all’estensione del perimetro del Golden Power alla stipula di contratti o accordi per l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione delle nuove reti di infrastrutture tecnologiche (ivi compreso il 5G). La sensazione è che, per quanto ci si trovi senz’altro di fronte ad un passo in avanti importante che deve essere traguardato il prima possibile, questa misura da sola non può essere sufficiente a tranquillizzare gli alleati, primi tra tutti gli Stati Uniti, poiché basata su una scelta di utilizzo completamente discrezionale da parte del governo italiano. In tal senso, ulteriori misure di verifica e controllo dovrebbero essere affiancate a queste prime due – sicuramente pregevoli – attività, al fine di stabilizzare le preoccupazioni dei nostri alleati.

Infine, guardando al piano economico, un eventuale prolungamento dell’escalation potrebbe ben presto intaccare il sentiment dei mercati finanziari e condurre ad una frammentazione della globalizzazione. Di conseguenza, l’economia globale rischia di subire una frenata con effetti significativi sulla riallocazione settoriale delle produzioni e in particolare sulle dinamiche delle catene del valore che da globali tenderanno sempre di più a regionalizzarsi.



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