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La Lega vuole il governo dei Sì. Anche per gli F-35. Parola di Raffaele Volpi

Nel giorno decisivo per il governo, tra ipotesi di crisi, rimpasto e Conte bis, si susseguono le preoccupazioni per i dossier ancora aperti, su cui l’intricata situazione politica rischia di influire negativamente con scenari del tutto incerti. Tra questi, oltre al 5G, c’è il programma F-35, per cui l’Italia ancora non ha palesato le proprie intenzioni sulla futura partecipazione allo storico alleato d’oltreoceano. Formiche.net ha chiesto un parere a Raffaele Volpi, sottosegretario alla Difesa della Lega, da taluni ritenuto il papabile sostituto di Elisabetta Trenta nel caso Matteo Salvini faccia valere il voto al Senato sul Tav in chiave di rimodulazione della compagine governativa. Ieri, avevamo notato l’urgenza di palesare le intenzioni italiane sul programma Joint Strike Fighter, con la fine settembre che resta il termine ultimo per non avere ripercussioni, industriali e strategiche.

I RISCHI PER CAMERI…

Sul primo punto, ha spiegato Volpi, “scelte positive verso la nuova piattaforma omnifunzionale consentirebbero di rafforzare ed aumentare le opportunità produttive di Cameri”, lo stabilimento in provincia di Novara che rappresenta il fulcro della partecipazione italiana al programma. D’altronde, il sito rischia di non avere lavoro dal 2023 in poi nel caso in cui l’Italia non si impegnasse al lotto di produzione numero 15, quello per cui andava presentato un committment già lo scorso dicembre. Quattro anni sono infatti il minimo necessario per la pianificazione industriale e la preparazione della catena di fornitura. Se agli Usa non arrivasse l’impegno italiano entro il prossimo mese e mezzo, il gap sarebbe inevitabile, con tutte le conseguenze intuibili sul fronte dei costi, della qualità e dell’occupazione, sia per i 1.100 dipendenti del sito novarese, sia per l’intera supply chain, composta da tante Pmi.

…E LE POSSIBILI OPPORTUNITÀ

Ai rischi si sommano però le opportunità. Scelte positive sulla conferma degli impegni per 90 velivoli complessivi, ha notato il sottosegretario, “permetterebbero di individuare ulteriori sviluppi industriali e tecnologici da portare in Italia”. In altre parole, solo non accumulando gap rispetto agli altri partner potrebbe ottenere maggiori ritorni. Le possibilità ci sono, visto che il programma continua a incassare l’adesione di nuovi clienti, come Belgio e Polonia, o gli annunci su possibili potenziamenti, come nel caso dell’Olanda, i cui velivolo vengono già oggi assemblati proprio a Cameri. Poi, ci sono le opportunità aperte dal fronte turco. L’uscita di Ankara conseguente alla rottura con gli Stati Uniti sul sistema russo S-400 sta determinando la riallocazione del lavoro affidato alle aziende turche.

IL RAPPORTO CON GLI USA

Poi, come detto, ci sono gli aspetti strategici, tutti legati al rapporto con gli Stati Uniti. L’ambizione del governo di essere partner privilegiato di Washington, seppur agevolata dalle affinità politiche dell’esecutivo con l’amministrazione Trump, mal si abbina all’indecisione che perdura da troppo tempo sul programma. Eppure, ha notato Volpi, “ritengo che gli F35 non siano solo uno strumento militare, ma anche una forma di ancoraggio, pure di prospettiva, a un’alleanza storica con gli Stati Uniti”. Per confermarla occorrono impegni concreti, in assenza dei quali è già emerso un certo fastidio oltre-oceano di fronte all’incertezza con cui il governo giallo-verde ha portato avanti il dossier F-35, muovendosi dalla “valutazione tecnica” avviata dalla Trenta, fino a palazzo Chigi, per poi tornare alla Difesa, dove adesso starebbe stazionando la lettera di committment.

OLTRE LE POLEMICHE POLITICHE

Il punto, ci ha spiegato Volpi, è che il dossier dovrebbe sfuggire dal dibattito politico. “La vicenda F-35 – ha detto il sottosegretario – non deve essere vissuta come un problema, ma come una grande opportunità politica e di sviluppo”. D’altra parte, il tema è sembrato più volte dividere le due forze di maggioranza. Una parte del M5S ha conservato infatti i dubbi sul programma che venivano sbaniderati dai tempi della primissima opposizione, quando il no alla Tav era affiancato da quello per gli F-35. Ciò è confluito nella “valutazione tecnica” promossa dal ministro Trenta sin dal suo insediamento, difatti mai resa pubblica nei sui risultati. Si trattava di una sorta di analisi costi-benefici, il cui esito era per molti scontato ancor prima del suo avvio, considerando gli importanti interessi operativi (derivanti dalle esigenze delle Forze armate), industriali e strategici che ruotano da sempre intorno al programma. Su questi stessi aspetti hanno puntato i leghisti, a partire da Matteo Salvini, intervenuto nel suo viaggio a Washington per dire che non si può tornare indietro rispetto agli impegni presi. Ora, i nodi stanno venendo al pettine. L’ultima chiamata si avvicina, tra l’altro nel momento più difficile del governo Conte.

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