“Azzardo” deriva dall’arabo al-zahr “dado” ed esemplifica con l’immagine dello strumento della fortuna la voglia di arricchirsi senza fare sacrifici. È per questo che gioco d’azzardo e crisi sociale sono diventate due facce della stessa medaglia, rappresentano il sintomo e la conseguenza di una cultura malata che si affida alla sorte.
Le cifre sono da capogiro, paragonabili a una manovra economica: nel 2017 gli italiani hanno giocato 101,8 miliardi di euro, 5 miliardi in più rispetto al 2016, mentre nel 2006 la spesa non superava i 35 miliardi. La liberalizzazione del gioco d’azzardo del 2003, che ancora pesa sulla coscienza di quasi tutta la classe politica, ha trasformato il Paese in un grande casinò a cielo aperto con 366.399 slot machine una ogni 161 cittadini.
Province insospettabili come Prato detiene il record della spesa annua da gioco: 2.948 euro per cittadino; segue Ravenna (1.846 euro), Rovigo (1.742 euro), Como (1.737 euro) e Teramo (1.721 euro). Così i conti sono presto fatti: dei 101,8 miliardi totali, nel 2017 ne sono stati redistribuiti 82 miliardi, 8 miliardi di euro sono entrate nelle casse dello Stato mentre circa 12 miliardi è il fatturato da capogiro dei fornitori del settore. Numerose inchieste della Magistratura rivelano che una slot su tre è illegale oppure non è collegata dal circuito del Monopolio e il giro di affari in nero che stima è intorno ai 10 milioni di euro all’anno.
Dalla fine degli anni Novanta in poi assistiamo a un’escalation della dipendenza: la dimensione comunitaria che caratterizzava anche il gioco d’azzardo ha lasciato posto alla solitudine del giocatore che davanti alla macchina inserisce direttamente denaro fresco e vive un “tempo ipnotico” senza percepire cosa spende: «Potrei dire — ha confessato uno dei milioni di giocatori — che per me la slot è un’amante, un’amica, un appuntamento, ma in realtà non è niente di tutto ciò: è un aspiratore che succhia via la vita da me e che succhia me via dalla vita».
Il gioco d’azzardo stimola, eccita, aumenta il desiderio di rischiare, fa dimenticare la realtà, libera le pulsioni più istintive. Bastano tre anni di gioco per entrare nella fase di dipendenza e poi in quella della disperazione, tuttavia quando un giocatore diventa consapevole della dipendenza deve subito chiedere aiuto.
L’ho scritto in un approfondimento su La Civiltà Cattolica.
Almeno 700 mila studenti fra i 14 e i 17 anni hanno giocato d’azzardo, ma sono gli anziani i fedelissimi e purtroppo anche i disoccupati, inoltre si stimano circa 12 mila ludopatici in cura e quasi 700 giocatori a rischio. I costi per lo Stato sono ingenti, si parla di circa 6 miliardi di euro per interventi ambulatoriali psicologici, ricoveri, medicine, la perdita di rendimento, il costo sociale dei divorzi, i fallimenti, le conseguenze delle violenze familiari e sociali che il gioco provoca.
Il M5S ci aveva fatto sognare, lo voleva contrastare ed arginare… invece alla prova dei fatti, quando l’ideale si fa potere si allea sempre con gli interessi. E su questo punto tutte le attese sono state tradite. Anche il ricorso all’Agcom è stato fatto dal Governo dopo aver fatto scadere i termini (per approfondire leggi VITA).
I politici sono chiamati a fasciare e a guarire questa piaga. Da cittadini invece è importante premiare i bar e gli esercizi commerciali che scelgono di non promuovere l’azzardo perdendoci economicamente. Occorre appoggiare quei sindaci virtuosi e le molte associazioni della società civile che, attraverso le loro battaglie, stanno sensibilizzando la cultura. Ma si potrà uscire dal tunnel solo rieducando al gioco i ragazzi nelle scuole e negli oratori, regolamentare la pubblicità dell’azzardo soprattutto nelle trasmissioni sportive, potenziare i controlli, rendere trasparenti i rapporti dei politici con le potenti lobby.
Sono troppe infatti le persone povere intrappolate nelle catene della dipendenza, nel giro dell’usura e dalle crisi familiari.
(Articolo ripreso dal blog personale di Francesco Occhetta consultabile qui).