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La crisi di governo morde l’industria italiana. L’intervento di Donegà (Cisl)

Di Andrea Donegà

La crisi di governo arriva nel momento peggiore, giusto in tempo per appesantire ulteriormente l’aria che soffia sulle nostre industrie, resa già asfittica dall’assenza di politiche adeguate da parte di un esecutivo concentrato a rincorrere promesse senza mai tradurle in benefici per l’economia reale e per le persone. Una crisi peraltro inedita, consumata fuori dal Parlamento e annunciata con un comunicato, ripreso poi su Facebook, con cui il Ministro degli Interni informava di aver pronta la mozione di sfiducia da presentare contro il governo, come se lui non ne facesse parte. Un po’ come se Fantozzi sfiduciasse il direttore della Megaditta perché i suoi dipendenti, tra i quali lo stesso Ragionier Ugo, non lavorano per poi candidarsi a prenderne il posto. Riderebbe pure Filini.

E rideremmo pure noi se la situazione non fosse così preoccupante, in un Paese stanco e incattivito, sia dal punto di vista istituzionale e costituzionale che da quello economico e produttivo. È da stigmatizzare e condannare un leader di partito, e Ministro degli interni, che apre la crisi di governo, chiede lo scioglimento delle Camere in spregio alle cariche e alle competenze istituzionali, in un delirio di onnipotenza e ignoranza costituzionale senza precedenti. Non sorprende, quindi, se lo stesso Ministro chieda al popolo italiano di affidargli “pieni poteri” con una semplicità che, invece, dovrebbe far rabbrividire chi conosce la Storia del nostro Paese. Suggeriamo al Ministro un bel ripassino, partendo magari dal premio Strega Antonio Scurati che racconta le nefandezze che scaturirono da un vigliacco che riuscì, “LVI” sì, a ottenere pieni poteri. Pensiamo che il Ministro abbia tempo sufficiente per leggerlo, dal momento che è stato visto poche volte al Viminale e meno ancora al Parlamento, confermando i livelli di assenteismo per cui diventò famoso al Parlamento Europeo.

Scarsa presenza ingiustificata rispetto ai problemi del Paese ma giustificata da impegni irrinunciabili, come il Palio di Siena, la finale Mondiale di calcio nella Russia dell’amico Putin, la fiera dei cavalli di Verona e, poi, nel periodo estivo la sagra del mojito e del selfie panza all’aria nelle spiagge italiane. Nel frattempo, però, non si è risparmiato sulla questione sicurezza, schizzando nei sondaggi grazie alla guerra vergognosa condotta contro disperati in fuga dalla miseria, una prova di coraggio di cui la Storia ci chiederà conto, dimenticandosi, invece, che il vero dramma della sicurezza riguarda il fatto che nei luoghi di lavoro si continui a morire. In Lombardia, aspettando ancora le statistiche di luglio, abbiamo superato i 75 infortuni mortali, una vergogna italiana di cui questo governo non si è mai preoccupato. Non si senta assolto l’altro vice premier e cofirmatario del “contratto del cambiamento”, un’altra anomalia che disprezza la nostra Costituzione, la democrazia rappresentativa e il ruolo del Parlamento, preferendo la benedizione di un notaio, visto che sono sotto la sua responsabilità le politiche del lavoro e dello sviluppo economico. È anche a lui che va chiesto conto delle titubanze sul rilancio degli investimenti e di quanto sta avvenendo nella nostra industria. Il settore metalmeccanico, che rappresenta più del 50% dell’export italiano, sta registrando delle frenate preoccupanti dovute, certamente alla congiuntura internazionale ma, soprattutto, dall’assenza di politiche economiche in grado di riemettere in moto la produzione che, infatti, è al palo così come lo è il pil incollato a uno 0,1% previsionale che ci sbatte sul fondo delle classifiche europee e del G7.

In Lombardia, uno dei motori d’Europa, nel primo semestre 2019, la meccanica ha visto una ripartenza decisa dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Rispetto agli ultimi 6 mesi del 2018, per quanto riguarda i lavoratori coinvolti, la cassa integrazione ordinaria ha registrato una variazione del 64% mentre quella straordinaria del 71%. Preoccupa anche il ricorso alle procedure di licenziamento collettivo che hanno visto un aumento del 189%. Delle recenti situazioni di crisi ricordiamo la vicenda Husqvarna, azienda di Valmadrera, nel lecchese, produttrice di articoli da giardinaggio, che ha annunciato la cessazione della produzione e il licenziamento di 81 dipendenti su un totale di 102, ora accompagnati dalla Cassa Integrazione dopo settimane di presidio fuori dai cancelli.

Anche alla Maggi Catene, storica azienda di Olginate, sempre nel lecchese, che produce catene sia per il settore navale che dell’auto, si sta gestendo il passaggio alla cassa integrazione straordinaria dopo che l’impresa ha letteralmente cacciato i propri 53 dipendenti avendo dichiarato, a inizio giugno, il fallimento. Analoga situazione per le lavoratrici e i lavoratori della Castfutura, azienda di Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, che opera nella componentistica dell’elettrodomestico e del riscaldamento, che ha annunciato di voler spostare, dal 1 ottobre 2019, la produzione in Bulgaria col probabile licenziamento di 23 persone a maggioranza donne. Preoccupa poi la vicenda della Candy dove è stato siglato un accordo di cassa integrazione straordinaria per oltre 400 persone che necessita, però, del rifinanziamento del fondo per erogare gli ammortizzatori, lasciando ora tutti nel limbo. Tema, questo, che andrà affrontato quanto prima per non lasciare sole le persone in queste dure difficoltà e senza prospettive.

Chiunque avrà l’onere e l’onore di guidare il Paese, per invertire questo trend, sia dal punto di vista dello sviluppo che dell’occupazione, dovrà sicuramente rimettere in moto gli investimenti collegandoli, possibilmente, a un progetto di Paese: se siamo tutti convinti che l’Industria 4.0 sarà la strada obbligata per restare in corsa nella competizione industriale, bisogna dare a tutte le imprese la possibilità di agganciare l’innovazione digitale, filone su cui siamo in fortissimo ritardo rispetto agli altri paesi. A questo tema vanno collegate anche misure di riorganizzazione tecnologica e organizzativa intervenendo, parallelamente, per adeguare le infrastrutture e le reti digitali, vie utili pure a creare lavoro al pari dello sblocco dei cantieri e delle grandi opere.

Certamente occorrerà ristabilire relazioni virtuose con l’Unione Europea dopo mesi di contrasto, becero e miope, e di ammiccamenti, occulti e di parte, con la Russia di Putin che incarna un modello economico diverso da quello a cui sono agganciate le imprese della nostra Regione, ben collegate alla catena globale del lavoro, e del valore, e ben legate alle e bel legate alle economie degli altri Paesi europei, Germania in primis, dove esportiamo, da leader, gran parte della nostra manifattura. Un fattore non secondario se pensiamo che l’Italia, paese povero di materie prime, è condannata a esportare e deve quindi preoccuparci molto il fatto che i dati dell’export cominciano a mostrare segnali negativi che, inevitabilmente, si stanno traducendo in ulteriori rinvii degli investimenti, in ritardi tecnologici e digitali, in scarsi appetiti per gli investitori esteri e in problemi occupazionali a cui nessun reddito di cittadinanza potrà dare risposta. La sfida è ardua e complessa ma, facendo rete tra tutti coloro che hanno interesse a un futuro di benessere e opportunità per il nostro Paese e coraggio di sperimentare soluzioni e strade inedite, sarà possibile vincerla.

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