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La guerra del Califfato non è finita. La fase 2 dell’Isis spiegata da Ricci

Di Alessandro Ricci

Nella notte di sabato lo Stato Islamico ha colpito ancora a Kabul, provocando la morte di 63 persone e il ferimento di più di 180. Scenario dell’attacco è stato un matrimonio in un quartiere di Kabul ovest, a prevalenza sciita. L’attentatore era un pakistano pronto al martirio, come riportato nella rivendicazione dell’Isis, che si è fatto esplodere nella zona del matrimonio riservata agli uomini. L’attacco, che ha ricevuto la ferma condanna del presidente afgano Ghani, che lo ha definito un “attacco inumano”, è il terzo rivendicato dal Califfato nel 2019 ed evidenzia il cambio di strategia voluto dai vertici.

Che lo Stato Islamico non fosse morto, ma continuasse ad agire su prerogative e prospettive differenti, era ormai chiaro dalle ultime vicende che l’hanno visto protagonista. Il 27 gennaio scorso era stata presa d’assalto una chiesa nelle Filippine durante una messa, con 27 morti e circa 100 feriti. L’attacco che ebbe più risalto fu quello della “Pasqua di sangue” in Sri Lanka, dove nel giorno cruciale del calendario cristiano, il 21 aprile scorso, tre kamikaze colpirono chiese, hotel e posti di blocco, uccidendo 253 persone e ferendone 500. Pochi giorni dopo, il 29 aprile, veniva diffuso il messaggio di Abu Bakr Al Baghdadi. Si trattava del secondo video con il Califfo protagonista, dopo quello di proclamazione dell’Isis nel luglio del 2014. Nel primo caso si apriva la fase ufficiale dello Stato Islamico. In questo secondo si ufficializzava di fatto un diverso momento di vita dell’Isis, mentre i media occidentali lo davano per morto dopo la battaglia di Baghouz del marzo scorso, quando aveva ormai perso gli ultimi lembi di territorio.

È a questo secondo video messaggio che dobbiamo far riferimento per comprendere la nuova fase dell’Isis, che rientra in una logica d’azione del tutto particolare ma che non scalfisce l’importanza e le potenzialità di attacco terroristico dell’Isis. I suoi mezzi sono certamente ridotti, non esiste più come formazione statuale o parastatuale, ma agisce con l’obiettivo principale di perpetuare il jihad e di colpire i propri nemici, mantenendo la compattezza e l’unità di intenti. Gli obiettivi principali indicati da Abu Bakr Al Baghdadi sono due: i “crociati”, nella guerra contro il mondo cristiano di cui gli attacchi in Pakistan e in Sri Lanka sono un perfetto esempio. E contro tutti gli altri nemici, in Africa, in Libia e nel Levante, facendo appello all’unità del mondo musulmano sotto i principi della sharia, usando tutti i mezzi a disposizione per combattere la guerra di logoramento.

Questa è la chiave per capire le ragioni dell’attacco di Kabul. Una guerra incessante combattuta con ogni strumento a disposizione (“umano, militare, economico e logistico”), esaltando il martirio dei mujahidin, esattamente come fatto nella rivendicazione dell’Isis. Non bisogna poi commettere l’errore di interpretare quest’attacco, avvenuto contro una porzione di popolazione di fede islamica – sciita –, come una diminutio del fattore religioso. La logica dell’attentato contro cristiani e sciiti è la medesima e va esattamente nella direzione indicata dal Califfato: per sconfiggere i nemici interni all’Islam sunnita, incarnato dai martiri e dai fedeli dell’Isis, e contro quelli esterni, rappresentati anzitutto dai cristiani.

Vi è poi un altro elemento da non sottovalutare. L’attacco si inserisce in un contesto altamente fragile dal punto di vista politico interno e dove lo Stato Islamico ha già colpito ufficialmente altre 21 volte. Più o meno metà del paese è sotto il controllo dei talebani e il governo afgano ha mostrato palesi difficoltà a controllare il territorio, come evidenziato dal numero di attentati avvenuti negli ultimi anni e dalla fortissima presenza dei gruppi talebani legati ad Al Qaeda. Le truppe statunitensi sono in progressivo ritiro, annunciato anche dal presidente Trump, e a questo fattore va aggiunto quello della lotta, tutta interna al mondo islamico, in cui l’Isis cerca di ottenere la leadership tra le forze islamiche radicali, tentando di acquisire un consenso che è meno radicato rispetto ad altri territori.

L’attentato va compreso alla luce di queste complesse dinamiche territoriali e religiose e di una vitalità dello Stato Islamico che si esprime in questa fase unicamente attraverso gli attentati terroristici. Non si deve ritenere che si tratti di un momento discendente dell’Isis, ma solo di una diversa fase, in cui il controllo territoriale non si esprime attraverso l’azione statuale, prevalentemente tra la Siria e l’Iraq, ma con attentati e con una guerra senza quartiere. Contro i nemici dell’Islam, contro i crociati e contro chi si ritiene deragli dal messaggio originario di Maometto, che lo stesso Califfato intende interpretare.

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