Skip to main content

Incidenti, missili e petrolio. Tutti i nodi al pettine di Putin secondo Silvestri (Iai)

Il presidente Vladimir Putin sta affrontando il momento più difficile dopo tre decenni di potere pressoché incontrastato. Il tentativo di nascondere la verità sugli incidenti militari è “tipico di chi non sa dove mettere le mani”, costretto a incassare “un danno di credibilità” che potrebbe ripercuotersi su tanti dossier, dal Venezuela alla Siria. Intanto, la crisi economica imperversa, mentre la repressione delle opposizioni rischia di ritorcersi contro il governo in termini di consenso. È il quadro descritto da Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), di cui è stato presidente dal 2001 al 2013, e direttore editoriale di AffarInternazionali. Formiche.net lo ha raggiunto per capire i nodi al pettine di Putin, tra i devastanti incendi in Siberia, le proteste a Mosca e i gravi incidenti militari, su cui si susseguono notizie di un forte innalzamento dei livelli di radioattività nell’area di Njonoksa, nell’oblast dell’Arcangelo, nel nord del Paese.

Molti osservatorio stanno descrivendo l’attuale momento russo come il più difficile per Vladimir Putin nei trent’anni di potere al Cremlino. È d’accordo?

Direi di sì. Stiamo assistendo a una grossa crisi per il presidente russo che lui, tuttavia, sembra voler ignorare. Non a caso, Putin continuava ad andare in giro in Crimea, a Sebastopoli, proprio mentre a Mosca erano in corso manifestazioni, mostrando un atteggiamento volto a sminuire gli accadimenti come se non fossero importanti, un’impostazione che invece tende a far pensare che sia preoccupato o che non sappia bene cosa fare, salvo subire gli incidenti gravissimi che ci sono stati, compresi quelli naturali, e ignorare la protesta. Tra l’altro, tale protesta è per buona parte legata al fatto che quasi tutti i candidati dell’opposizione che si sono presentati al ballottaggio (per le elezioni del consiglio comunale di Mosca, a inizio settembre, ndr), raccogliendo le firme necessarie, sono stati esclusi, arrestati o incriminati. Ciò ha mandato in bestia le opposizioni e non solo, poiché mi sembra che lo stesso si possa dire di parte della popolazione, in particolare di quella delle città, dove la condotta del governo ha fatto impressione. D’altra parte, la base forte di Putin si concentra nelle campagne e in provincia.

C’è poi la crisi economica.

Certo, il momento è difficile per Putin anche per questo, soprattutto per l’incertezza del prezzo del petrolio che, malgrado le tensioni nel Golfo persico, ha più tendenza a scendere, visto che ormai gli Stati Uniti sono divenuti il primo produttore mondiale. Ciò indebolisce gli esportatori tradizionali. Sebbene la crisi nel Golfo sembri indicare una situazione di scarsità, così non è, perché la domanda cala.

Che impatto stanno avendo su tutto questo i vari incidenti militari, tra l’incendio al sottomarino Losharik e l’esplosione nella base di Severodvinsk? Sono episodi che possono avere un peso?

Direttamente non credo, anche se bisognerà vedere come anch’essi verranno mascherati. Ad ora non si nota alcuna ricerca della verità. Si fa finta che non sia successo nulla o che sia accaduto qualcosa di scarsa importanza. È tipico di un regime che non sa dove mettere le mani. Ma ciò che è più negativo per Putin, è l’idea che il suo gioiello, a cui ha dedicato più risorse e su cui ha investito per la propria immagine, le Forze armate, abbiamo maggiore somiglianza con lo strumento militare della vecchia Unione sovietica che con quello delle potenze moderne. Appaiono vecchie, con forze sacche di corruttela e prive delle necessarie capacità tecniche e di competenze. Non sappiamo chiaramente se ciò sia vero o meno, ma sicuramente gli incidenti rappresentano un danno d’immagine molto forte, interno ed esterno.

Intanto Donald Trump è intervenuto sulla vicenda di Severodvinsk confermando che l’intelligence americana ha capito l’origine dell’esplosione (il test su un nuovo missile da crociera) e che il Pentagono dispone comunque di strumenti più avanzati. Vuole alzare la pressione su Putin?

In un certo senso sì, anche se è piuttosto difficile essere nella testa di Trump. Spesso si ha l’impressione che veda succedere qualcosa e voglia dire la sua. Forse, il presidente americano ha voluto lanciare un doppio messaggio, legato soprattutto al fatto che negli ultimi due o tre anni Putin ha periodicamente sottolineato come la Russia abbia sviluppato nuove potentissime armi, dichiarandole capaci di distruggere e superare ogni difesa e di intimidire qualsiasi avversario. Ora Trump gli dice due cose. Primo, che gli Stati Uniti sanno tutto, compresa l’eventualità che ci sia stata effettivamente un’esplosione nucleare. Secondo, che tecnologicamente gli americani restano ancora avanti.

Nonostante tutti i suddetti punti critici, Mosca non sembra comunque intenzionata ad arretrare rispetto a tanti dossier esterni, dal Venezuela alla Siria. Cambierà?

Per ora Putin ha dato l’impressione di voler confermare un ruolo internazionale da grande potenza, riuscendoci. C’è riuscito anche perché ha puntato su Paesi che comunque hanno importanza per gli interessi economici russi. Avere peso sul Venezuela o sul Medio Oriente significa avere maggiore rilevanza pure sul controllo di petrolio, gas ed energia. Nello stesso tempo però, gli incidenti militari creano un danno di credibilità, e come tale indeboliscono l’immagine di una Russia come potenza o grande garante di regimi o Paesi.

Tornando al rapporto con gli Stati Uniti, l’ipotesi di negoziare un nuovo accordo sui missili dopo la fine del trattato Inf sembra limitata a un allargamento degli obblighi anche alla Cina, che però non pare intenzionata a muoversi in tale direzione. C’è margine per negoziare?

Pechino conserva ovviamente un’impostazione strategica diversa da Mosca e Washington. Altrettanto ovviamente un accordo bilaterale senza i cinesi resta difficile, soprattutto se parliamo di armi strategiche. Eppure, la volontà della Cina di non partecipare non è una ragione di per sé sufficiente a giustificare l’assenza di accordi tra Russia e Stati Uniti, che restano i detentori della maggior parte di armi nucleari esistenti al mondo.

Ci spieghi meglio.

È un po’ ciò che successe in passato, quando Mosca insisteva che gli accordi con gli Usa dovessero coinvolgere anche Francia e Gran Bretagna. Certamente Parigi e Londra non avevano l’importanza strategica che attualmente ha Pechino, ma il ragionamento è lo stesso. Allora, il mancato coinvolgimento dei due Paesi europei non impedì la conclusione di grandi accordi. Se ciò non dovesse avvenire adesso, significa che la volontà di una nuova intesa non c’è. Tra l’altro, se davvero americani e russi volessero esercitare pressioni sui cinesi, dovrebbero mostrare loro un fronte unito, presentandogli un accordo e condizionando le rispettive firme a quella di Pechino.

Chiudiamo con il nostro Paese. Oltre l’attuale crisi di governo, l’esecutivo giallo-verde presentava l’ambizione di essere un ponte tra Russia e Stati Uniti, un’ambizione condivisa con altri governi precedenti. È credibile?

A me sembra che in questa situazione politica il nostro ponte assomigli al Ponte Morandi.



×

Iscriviti alla newsletter