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La scommessa cattolica non è la santa alleanza dei sovranisti. Parla Magatti

“La questione dei simboli religiosi va compresa più in profondità. Salvini fa queste cose richiamandosi a una visione ben precisa, che ha riferimenti in Europa sicuramente in Orbán, e poi in Steve Bannon. Dove cioè, per quanto riguarda il mondo cristiano, ci sono componenti che pensano che la soluzione dei nostri problemi economici, sociali e politici, passi da una nuova alleanza tra politica e religione”. Parla senza mezzi termini il sociologo Mauro Magatti, docente di sociologia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e in edicola per i tipi del Mulino con “La scommessa cattolica. C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?”, testo scritto a quattro mani con la sociologa Chiara Giaccardi, in questa conversazione a tutto tondo con Formiche.net, a margine del suo intervento al Meeting di Rimini sul tema del futuro di famiglia e lavoro.

C’è persino chi sostiene la tesi forte che il principale nemico di Matteo Salvini è Papa Francesco.

Non c’è dubbio. Questi gruppi, e questa visione, che non è solo cattolica, perché in America interessa più i gruppi evangelici, vede in Papa Francesco un nemico, un antagonista. La cosa va presa sul serio perché questa risposta, che poi va sotto il titolo di sovranismo, la penso problematica sia dal punto di vista politico che da quello religioso. E ha una transizione in atto, che nasce dalle contraddizioni, per usare un termine marxiano, del modello di sviluppo dal 1989 al 2008, che va a toccare dimensioni spirituali.

Spieghi meglio.

Il problema è capire la portata delle questioni che sono in gioco, che non sono solo economiche, tecniche o di efficientamento, ma arrivano a toccare l’idea stessa di libertà, di futuro, di crescita, e quindi, come Max Weber aveva detto, delle dimensioni spirituali. Fino a quando, in altri campi anche del sistema politico, non si fa i conti con questa dimensione spirituale, si lascia campo libero a queste incursioni che sono problematiche ma che hanno la forza di toccare un punto vero. Che altrove, invece, non è visto.

A primo impatto, se oggi si ripete che la società appare sempre meno religiosa, la politica sembra avere l’atteggiamento inverso: c’è chi sbandiera rosari e chi gli si oppone citando passi del Vangelo. Che momento è quello che stiamo vivendo? C’è una rinascita del sentimento religioso?

È evidente che in tutto il mondo dopo il 2008 si assiste al ritorno della politica, da quando cioè si parlava di un mondo unificato e della fine della storia di Fukuyama, e si pensava che bastassero il mercato e le istituzioni liberali e che non ci sarebbe stato nemmeno più bisogno della politica, e al ritorno della religione. Che noi vediamo dal versante cristiano, ma sappiamo nell’islam quanto è importante, sappiamo per gli indù quanto è importante, e persino in Cina c’è la riscoperta del confucianesimo come base del modello economico-politico che stanno costruendo.  Quindi siamo in presenza di un ritorno della politica e della religione.

Qual è il problema?

Il problema è capire questo ritorno che ragioni ha, evitare che produca risultati nefasti. È questo un elemento problematico del sovranismo: il ritorno della religione e della politica che si alleano per costruire una specie di nuova santa alleanza contro il cosmopolitismo, la tecnoscienza. Perché è destinato a produrre frazioni, contrapposizioni, lotte, muri e guerre di civiltà. Per questo abbiamo scritto il libro “La scommessa cattolica”, perché il tema non è uscire da questa contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo astratto, una laicità radicale dove non c’è nessuno spazio per la religione e la politica ma ci si immagina un mondo solo organizzato dalla tecnoeconomia. È invece partendo dalla crisi profonda e antropologica che c’è in atto, soprattutto in Occidente, che bisogna riaprire il dialogo tra politica, religione, economia e tecnica. Che è la nostra forza. Naturalmente nella distinzione delle sfere, senza commistioni strane, ma riconoscendo l’importanza di tutti questi elementi.

Parlando dell’uso di simboli religiosi in politica il presidente della Cei Bassetti ha detto che “la religiosità si esprime in Chiesa e nei luoghi della fede”. È sempre stato così oppure si tratta di approccio nuovo della Chiesa in questo preciso momento storico?

La storia del cristianesimo è la storia dei due soli, e fin dall’inizio si è distinta la sfera religiosa e quella politica. La distinzione è sempre stata molto problematica, non è mai stata pacifica. Ma è un elemento distintivo della cultura occidentale cristiana. Questo è un valore che va difeso nel duplice senso: evitando gli sconfinamenti diretti della religione in politica, ma dall’altra parte comprendendo nella sfera pubblica che la religione non è solo un fatto privato ma un fatto pubblico, e collettivo. Questo è il tratto distintivo della cultura occidentale cristiana e della laicità.

Eppure l’unica che regna sovrana sembra la confusione.

Si fa molta confusione nel duplice senso: ci sono molte spinte laiciste, che negano la religione in qualunque ruolo se non in quella intimamente privata. Ed è un errore, a cui risponde, in questo momento storico, il fondamentalismo e il populismo, che mescolano in maniera impropria politica e religione. L’intervento di Bassetti credo che andasse a ristabilire questa duplicità, e questa articolazione, che non dobbiamo smarrire perché è un elemento fondativo della nostra civiltà.

Il suo ultimo libro, scritto a quattro mani con la sociologa, oltre che sua moglie, Chiara Giaccardi, si intitola  “La scommessa cattolica”. Qual è questa scommessa?

Quella di superare da una parte un atteggiamento di prosopopea nei confronti della modernità e dei problemi contemporanei solo come portatori di disastri, ma allo stesso tempo anche di evitare il complesso di inferiorità che spesso si respira nel mondo cattolico. Come se in realtà le soluzioni vere le avesse solo la cultura laica… Superare questa ambivalenza vuol dire recuperare la consapevolezza che il cristianesimo possa avere qualcosa da dire di inedito e di originale alle questioni che abbiamo davanti.

Cioè, quali?

Da una parte, come dice Papa Francesco, la questione degli scarti. E la nostra è una cultura, quella tecnocratica, che produce scarti. Ciò significa pungolare continuamente la nostra forma sociale a partire dall’uomo invece che dai sistemi. Dall’altra parte, tenere aperta la domanda sul mistero, sull’oltre noi, che è ciò che permette alla scienza e alla tecnologia di non diventare scientismo e tecnocrazia. Il cristianesimo ha il compito particolare di presidiare questi due confini e da lì essere elemento di rinnovamento e di trasformazione del modello di sviluppo, che può arricchirsi da una componente religiosa ricca, che non pretende di avere l’egemonia, ma a cui è riconosciuta la capacità di parlare all’uomo contemporaneo.

Al Meeting ha parlato di generatività e denatalità. E ha spiegato che la famiglia di per sé non basta, ma serve un contesto pubblico e comune. La scommessa del libro è quindi la stessa che vi ha portato ad avere sette figli?

No, cioè… (ride, ndr), vorrei chiarire che abbiamo cinque figli naturali e due adottati. È la vita che ci ha portato a questa famiglia, non c’era nessuna premeditazione né ideologismo, e non è che una famiglia numerosa è più bella di una piccola. Quello che noi abbiamo imparato è che, ed è uno dei temi della scommessa cattolica, la vita diventa più bella e più ricca se rompiamo quello scafandro che ci siamo costruiti del nostro io. Questa capacità di andare oltre noi che tutti come essere umani riconosciamo, credenti o non credenti. E questo movimento è quello che alla fine genera la crescita economica, il futuro e una società prospera.


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