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L’importanza di scegliere (bene) il ministro della Difesa. L’opinione di Tricarico

Programmi da confermare (F-35 in testa), fratture da ricucire e scelte di campo da intraprendere, a partire dal Tempest. Sono solo alcune delle priorità del prossimo ministro della Difesa secondo Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica. Molto dipenderà dal nome di colui, o colei, che siederà a palazzo Baracchini. Per ora, si constata purtroppo “un’assenza generale di cultura della Difesa, e di nomi nel toto-ministri privi di competenza specifica”. Per fortuna c’è il presidente Sergio Mattarella. “Il Capo dello Stato, in qualità di capo supremo delle Forze armate, porrà molta attenzione e un occhio di riguardo all’individuazione del titolare di palazzo Baracchini”.

Generale, i temi della Difesa appaiono un po’ in secondo piano nel dibattito politico di questa crisi d’agosto. Che ne pensa?

Siamo alle solite. Serve maggiore attenzione alle questione della Difesa, più delle altre. Lo dico memore del programma del governo precedente, ossia poche righe, la maggior parte delle quali fuori tema, e consapevole che in questa nuova ipotesi di esecutivo il programma, per lo meno dettagliato, non c’è. Forse si stanno sviluppando alcuni argomenti in queste ore, ma più probabilmente assisteremo a un “programma strada facendo”. Ciò può ledere la Difesa, i cui temi hanno bisogno di un inquadramento che si basi su una visione generale da edificare. Non c’è da stupirsi; è una scena già vista.

E di coloro che sono dati come più accreditati per il dicastero di palazzo Baracchini nell’accordo tra Pd e M5S?

Per la Difesa circolano i nomi più disparati, senza che a essi corrisponda però alcuna professionalità, vocazione o competenza specifica. Il toto-ministri per l’Economia, gli Esteri o lo Sviluppo economico presenta nomi nomi che hanno una professionalità per svolgere il rispettivo incarico. Ma per al Difesa pare che vadano bene tutti. Ciò riflette l’assenza nel Paese, e nelle persone che lo guidano, di una cultura della Difesa. Al momento, l’unica certezza, da valutare se in positivo o in negativo, riguarda il ministro uscente Elisabetta Trenta. Il suo nome circola per la possibile riconferma, ed è l’unico di cui sappiamo tutti, permettendo di fare una previsione su come si svilupperà l’azione di governo.

Secondo diversi osservatori, la riconferma della Trenta potrebbe andar bene al Pd perché il ministro è stato spesso in frizione con Salvini.

Spero che non siano questi i criteri di decisione. Mi auguro che l’eventuale riconferma si basi sull’attenta valutazione dei risultati della gestione precedente, se essi siano cioè stati coerenti con l’interesse del Paese. È questo l’unico paramento di valutazione, non altri, tanto meno quelli degli alterchi di bottega.

Per l’appunto, nell’esperienza giallo-verde non sono mancate frizioni nel campo della Difesa. Ritiene necessario ritrovare una certa serenità?

Le discussioni nel settore della Difesa hanno riguardato per lo più l’impiego di unità militari nella gestione del fenomeno migratorio. Su questo ho un’opinione chiara: i militari devono disinteressarsi in maniera totale di tale aspetto, per il quale c’è la Guardia Costiera, unica istituzione titolata a gestire il fenomeno. Certo, se si verificassero problemi di sicurezza sotto il profilo militare, è chiaro che la protezione spetterebbe alle unità militari, ma è il solo caso in cui possono avere una voce. Credo che meno navi militari ci siano nel Mediterraneo, maggiori potranno essere le possibilità di gestire con equilibrio e coerenza la migrazione incontrollata.

Torniamo al toto-ministri. Cosa prevede per la Difesa?

Come ho detto prima, per ora c’è tanta incertezza. Non è nulla di nuovo. Ancora una volta, l’unico riferimento certo, saltati tutti gli altri, è il presidente della Repubblica. Il capo dello Stato, in qualità di capo supremo delle Forze armate, porrà molta attenzione e un occhio di riguardo all’individuazione del titolare della Difesa. Anche perché c’è molto da fare.

Da dove si dovrebbe cominciare?

Concretamente, c’è prima di tutto da invertire le tendenze palesate e accentuate nell’ultima amministrazione. Mi riferisco in particolare allo sbilanciamento eccessivo dell’impiego delle Forze armate a favore di compiti secondari, con un’attenzione minore ai compiti propri della Difesa, soprattutto per quanto attiene l’impiego reale nelle missioni internazionali. Poi, c’è la necessità di appianare le rugosità che si sono create tra le Forze armate. Il nostro sistema non è mai stato eccellente per ciò che riguarda l’armonia interforze, necessaria per finalità operative e di economia delle risorse. Su questo non c’è stato un miglioramento, quanto piuttosto un peggioramento nella coesione. C’è inoltre da disinnescare la larga aspettativa che si è creata sulle attività di carattere sindacale. Il fatto di aver riconosciuto i sindacati prima che ci fosse una legge che ne regolasse l’operato, ha comportato l’innescarsi di un’aspettativa enorme, con l’emersione di temi che non si sa se potranno essere effettivamente di competenza dei sindacati militari.

E per quanto riguarda i programmi?

È sottintesa la necessità della certezza di risorse e investimenti. Negli ultimi tempi abbiamo purtroppo assistito a un atteggiamento di rinvio, distanza e circospezione. Ciò ha comportato danni alla credibilità del Paese, la quale deve essere riacquistata integralmente.

Si riferisce a qualche programma in particolare?

A tutti quei programmi che sono stati bloccati o su cui si è palesata incertezza. Su Piaggio Aerospace bisognerà prendere una decisione. C’è da sbloccare e procedere su F-35, Tornado, Fremm, Camm-Er. Tutti i programmi pluriennali devono essere sostenuti da certezze di carattere politico a favore della loro prosecuzione così come sono stati concepiti.

Poi ci sono i programmi di nuovo avvio. Appare evidente il ritardo italiano sul caccia di sesta generazione e l’adesione al Tempest britannico.

Secondo me il Tempest è un non-problema. Riguarda il posizionamento del Paese, ma una delle ultime cose a cui penserei oggi è il caccia di sesta generazione quando ancora non siamo chiari su ciò che faremmo con quello di quinta generazione. Ci sarà da pensare alla sostituzione di alcuni velivoli, ma i tempi per poter prendere una decisione sono ampi. Certo, resta la questione della scelta di campo, politica prima che tecnica. Bisogna fare una riflessione soprattutto alla luce delle alleanze europee, e il Tempest è un altro argomento che denuncia in modo evidente la divisione in Europa, e alla luce di ciò va considerato.


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