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Brexit, Parlamento off. La mossa (della Regina) di BoJo spiegata da Villafranca

Nuovo colpo di scena sulla Brexit. La regina Elisabetta ha detto sì alla richiesta di sospendere il Parlamento. Una mossa strategica (ma non priva di complessità) da parte del premier Boris Johnson, a qualche settimana della deadline per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea il 31 ottobre,  per rendere più difficile ai parlamentari il blocco della Brexit no-deal.

LA DECISIONE DELLA REGINA

In una conversazione con Formiche.net, Antonio Villafranca, coordinatore della ricerca dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e co-responsabile del Centro Europa e Governance globale, spiega che nella prassi costituzionale inglese – che in realtà non ha una vera e propria Costituzione scritta – è una prerogativa del primo ministro britannico chiedere alla regina di attribuire quella che si chiama tecnicamente una proroguing.

“Una legislatura dura cinque anni. La legislatura è divisa in cinque sessioni, questa sessione in realtà dura ormai da quasi due anni”, ricorda l’analista. “Johnson sostiene che è ora di bloccare questa sessione. In genere, quando si blocca una sessione (prima del discorso della regina che si terrebbe il 14 ottobre) ci sarebbe appunto questa proroguing, che in genere la concede la sovrana”.

UNO STOP INUSUALE

Villafranca sottolinea la distinzione tra proroguing e recess, un evento che sarebbe comunque accaduto: “Il Parlamento si doveva fermare qualche settimana tra settembre ed ottobre, in occasione delle conferenze che i partiti svolgono un paio di volte all’anno. Quanto duri questo periodo di fermo lo decide il Parlamento. Mentre sulla richiesta del proroguing che ha fatto Johnson decide il primo ministro”. Il premier, dunque, fa finire la sessione (che dura da due anni), e fa durare lo stop molto più tempo del solito: “In genere dura solo alcuni giorni – spiegato ancora l’esperto -, ma lui lo vuole far durare cinque settimane. La chiusura normale che si sperava era di tre settimane. Johnson, in pratica, sta rubando tempo al Parlamento perché teme che possa intralciare il percorso, da lui voluto, verso il no-deal”.

NUOVE ELEZIONI IN VISTA

In questo contesto, le voci su un possibile ritorno alle urne nel Regno Unito aumentano. Il premier, effettivamente, ha lasciato pochi giorni disponibili per le sedute del Parlamento, in una mossa definita dal presidente della Camera un ‘oltraggio costituzionale’. “Quello che potrebbero fare i parlamentari britannici – in particolare il capo dell’opposizione Jeremy Corbyn – è chiedere al ritorno delle vacanze estive una mozione di sfiducia. Davanti a questo scenario si potrebbe formare un altro governo, ma se non dovesse emergere i britannici dovranno tornare alle urne. In questo caso non prima del 10 novembre”, sostiene Villafranca. I rumors delle ultime ore, infatti, dicono che i conservatori non cercheranno un altro leader e preferirebbero tornare al voto.

PRONTI PER IL NO-DEAL?

Su che cosa accadrà in caso di un’uscita no-deal, e le indiscrezioni sul caos che regnerebbe in Gran Bretagna, Villafranca sottolinea: “Per fare fronte ad una Brexit senza accordo il governo avrebbe bisogno di più risorse. Per assegnare più risorse, bisogna in pratica far passare delle mozioni in Parlamento. Ma se questo è chiuso non si può fare. Johnson però dice che non c’è da preoccuparsi, perché non è necessario far passare alcuna legge in Parlamento. Secondo il premier sono già pronti al no-deal. Dichiarazioni che prendiamo così, per quello che sono”.

I RAPPORTI CON L’EUROPA

Per quanto riguarda i rapporti con l’Europa la partita è ancora più complessa, con la chiusura dei negoziati sull’accordo di recesso. L’intesa consta da due parti: l’accordo di recesso vero e proprio e la dichiarazione politica. Il primo è un documento di oltre 500 pagine che definisce i termini del divorzio ed è giuridicamente vincolante. Con all’interno il backstop, che spiega come si dovrà gestire il confine nordirlandese, che è proprio la chiave di volta. Sulla dichiarazione politica, che stabilisce i futuri rapporti tra l’Unione europea e la Gran Bretagna, si cerca lo svincolo dal backstop, argomentando che fino a quando non si troverà un’altra soluzione comunque la Gran Bretagna resterà all’interno di una sorta di unione doganale con l’Ue.

“Sulla dichiarazione politica, che è di alcune pagine e non è giuridicamente vincolante, qualche apertura ci potrebbe esserci”, aggiunge Villafranca. “Sul fatto che esista il backstop sul confine nordirlandese i leader europei hanno ribadito – anche quelli presenti al G7 – che non si prevedono assolutamente cambiamenti. Al momento la data da tenere sott’occhio è il 17-18 ottobre quando si terrà il Consiglio europeo”. In quell’occasione Johnson spera di ottenere delle concessioni sul backstop, in modo da poter ritornare in Parlamento – che a questo punto avrebbe concluso le cinque settimane di sospensione – per chiedere di approvare ciò. Su questo l’analista conclude che “bisognerà vedere che concessioni riuscirà ad avere il premier – credo non tantissime – e verificare la disponibilità di un Parlamento, che è stato forzosamente sospeso, di approvare il nuovo accordo. È tutto da verificare”.

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