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L’S-400 torna a dividere Usa e Turchia, mentre Erdogan vola da Putin

Ci sarà anche il sistema S-400, con tutte le implicazioni strategiche nel rapporto tra Ankara e Washington, nel vertice moscovita di domani (a sorpresa) tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan. L’incontro, annunciato solo qualche giorno fa, giunge a una settimana dal rischio di escalation nei pressi di Idlib, quando un convoglio militare turco è stato sfiorato da un raid aereo condotto dall’aviazione siriana. Per questo, nell’agenda della riunione tra i due leader, ci sarà soprattutto la crisi siriana, con la tregua su Idlib da confermare dopo le negoziazioni dello scorso anno e i recenti tentennamenti. Eppure, vista la rilevanza della riunione a Mosca, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ne ha approfittato per rialzare l’attenzione sul dossier S-400, annunciando l’avvio, proprio domani, della seconda fornitura.

LE CONSEGNE

La prima consegna era avvenuta, come da programma, a metà luglio, conclusa in pochi giorni con le parole di giubilo dei leader, seppur accompagnate dall’inevitabile accortezza nello specificare che il sistema non sarebbe stato attivato prima di qualche mese. In più, allora come oggi, si notava che l’acquisto dell’S-400 era divenuto inevitabile vista la presunta indisponibilità statunitense a fornire il Patriot, sebbene su questo la versione di Washington sia piuttosto discordante, con gli americani ancora disponibili a offrire ai turchi il sistema di difesa missilistico. Oltre gli assetti d’arma, il punto è soprattutto strategico, con il costante scivolamento della Turchia verso Mosca a cui l’Occidente assiste da almeno due anni. Domani, riprenderanno le consegne dell’S-400, ancora una volta presso la base aerea di Murted, nei pressi di Ankara, da cui poi il sistema verrà dispiegato verso siti da definire.

L’ESCALATION DI LUGLIO

L’ultima puntata della saga S-400 risale alla fine di luglio, quando Donald Trump si era giocato la carta della proposta di un accordo di libero scambio (affidata all’intermediazione del senatore Lindsey Graham) per cercare di ricucire i rapporti con lo storico alleato. Un impresa ardua, dopo settimane di reciproche accuse, in un’escalation costante di toni che è passata dalle minacce di sanzioni (molto temute da Ankara), a quelle di ritorsioni, attraversando lo stop all’addestramento dei militari turchi negli States e l’ipotesi che Erdogan possa davvero rivolgersi a Putin per alternative agli F-35 (con il russo desideroso di offrire i caccia pesanti Su-35).

L’ACCORDO (TACITO) SUI TEMPI

Per ora, l’unica certezza riguarda il tacito accordo sui tempi: aprile 2020. Allora verranno completate le consegne dell’S-400, e sempre allora sarà definitiva l’estromissione della Turchia dal programma F-35. Su questo, la convergenza è emersa lentamente e senza intese formali, quasi a volersi offrire reciprocamente un margine per risolvere una questione che ha creato una fattura profonda dentro l’Alleanza Atlantica. Così, certificando l’uscita di Ankara dal Joint Strike Fighter, la Casa Bianca specificava prontamente che sarebbe stata definitiva da marzo prossimo. Parallelamente, ricevendo il primo sistema russo, i turchi notavano che l’attivazione dello stesso sarebbe scattata solo ad aprile. In più, sempre a fine luglio, il segretario di Stato Mike Pompeo (uno dei fautori della linea dura sul dossier) aveva spostato l’ipotesi di applicazione di sanzioni da “consegna” ad “attivazione”, una sottolineatura che confermava i margini nelle tempistiche.

IL RUOLO DELL’F-35

Nel mese di agosto poche novità, a parte alcuni messaggi di conferma. Tra questi, è apparso significativo l’intervento a metà mese del capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu: “Non siamo ancora stati rimossi dal programma F-35; la produzione in Turchia sta continuando”. Parole che sono sembrate voler ribadire l’importanza che Ankara attribuisce alla partecipazione al Joint Strike Fighter, sia per un velivolo su cui ha scommesso per il futuro del proprio potere aereo nelle ben note ambizioni più che regionali, sia per un contributo industriale che è di tutto rispetto. D’altra parte, le alternative all’F-35 appaiono poco credibili, sia il velivolo russo, sia il caccia indigeno TF-X, il progetto per il nuovo jet prodotto dall’industria nazionale e presentato allo scorso salone parigino di Le Bourget, con un’entrata in servizio attesa per il 2028. In ogni caso, le parole di Cavusoglu hanno anche confermato uno stallo da cui si uscirà faticosamente, a meno di un intervento diretto dei leader, Trump ed Erdogan, che tuttavia si attendeva già nel G20 in Giappone a fine giugno. In quell’occasione, salvo riferimenti all’ottimo rapporto tra i due, sono mancati tutti i segnali.

IL GRIMALDELLO DI PUTIN

In più, in tutto questo (compreso il rapporto tra Trump ed Erdogan) potrebbe inserirsi Vladimir Putin, desideroso di confermare all’omologo turco la disponibilità di Mosca ad estendere le collaborazioni nel campo della difesa. A fine luglio, era stato Alexander Mikheev, numero uno di RosoboronExport (l’agenzia che si occupa delle esportazioni russe di armamenti) ad esporre la possibilità che la fornitura dell’S-400 apra a nuove cooperazioni, dagli elicotteri ad altri sistemi di difesa. D’altra parte, l’accordo sul sistema missilistico con Ankara è sempre stato per il Cremlino un’appetibile opportunità per inserire una sanguinosa spina nel fianco del tradizionale rapporto tra Stati Uniti e Turchia, nonché nella solidarietà della Nato. Ora, pur con tutti i problemi interni (e forse a maggior ragione), Putin sembra pronto a rilanciare.

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