Quando un governo chiede la fiducia al Parlamento, deve enunciare in Aula gli obiettivi che intende perseguire e gli strumenti per raggiungerli. I rimescolamenti in corso nel nostro quadro politico ruotano tutti attorno a una questione contingente – “quando si vota?” – e ignorano la domanda cruciale: costituire una nuova maggioranza per fare cosa? E come? Se l’unica risposta è che la ragion d’essere del nuovo esecutivo è impedire a Matteo Salvini di vincere le elezioni (o allontanare il momento in cui lo farà) allora grazie, ma no grazie.
Ci sono almeno due problemi distinti. Il primo riguarda la sicumera con cui tutti danno per scontata la vittoria di Salvini alle prossime elezioni, con percentuali bulgare. Il comportamento degli elettori non è indifferente al contesto. Quelle stesse persone che alle europee hanno votato Lega, magari convintamente, in segno di protesta, sarebbero pronte a confermare la propria preferenza conferendo un mandato a governare? Coloro che invece si sono astenuti perché non hanno trovato un’offerta politica adeguata da parte dell’opposizione, non sarebbero disposti a mobilitarsi se temessero il rischio di un monocolore salviniano? Analogamente, la condotta degli elettori può variare sia a seconda dei messaggi elettorali dei diversi partiti, sia in funzione delle regole d’ingaggio. È una delle ragioni per cui, generalmente, i sistemi maggioritari producono una classe politica migliore rispetto a quelli che deresponsabilizzano gli eletti (lo abbiamo visto anche in Italia col passaggio dal Mattarellum al Porcellum e degenerazioni successive).
Il secondo problema è ancora più serio. Salvini oggi sembra vincere perché ha qualcosa da dire agli elettori: chi lo vota, sa cosa sta “comprando”. Gli altri – dal Partito democratico al Movimento 5 Stelle, passando per il fantasma di Forza Italia – quale messaggio hanno? Cosa stanno dicendo? Nei rari casi in cui non stanno zitti, dicono – in forma annacquata – le stesse cose di Salvini. Dall’immigrazione all’economia, nessuno (o quasi) si differenzia realmente dal capo della Lega: semplicemente, modulano in termini più educati o cauti le medesime proposte. Tant’è che non lo accusano (se non occasionalmente) di perseguire obiettivi sbagliati, ma di non essere capace di mantenere le promesse: non hanno il coraggio di dire che l’Italia ha bisogno di immigrati, ma gli contestano i pochi rimpatri; non si fanno forti della responsabilità fiscale, ma accusano Salvini di scassare il bilancio pubblico per le ragioni sbagliate; non contestano il processo giallo-verde di statalizzazione dell’economia ma (come Mariana Mazzucato su Repubblica) invocano un superministero dell’Economia che possa nazionalizzare meglio. La questione, dunque, non è tanto che Salvini possa vincere, ma che le idee di Salvini hanno già vinto: e questo è a tal punto vero che le stesse opposizioni non sono in grado di differenziarsi. E, quindi, di offrire gli elettori una ragione per votarle.
Consapevoli di questa inadeguatezza politica e culturale, cercano rifugio nei giochi di Palazzo. Intendiamoci: non ci sarebbe nulla di male nel dar vita a un nuovo governo se questo avesse un programma (e nel caso lo valuteremo). Non ci sarebbe nulla di male neppure nell’incaricare un esecutivo di transizione per scongiurare l’aumento dell’Iva e portare il Paese al voto all’inizio dell’anno prossimo. Ma se il disegno è quello di governare pur di non votare, e addirittura cambiare la Costituzione solo per allungare il brodo, allora tanto vale alzare bandiera bianca. Per sconfiggere Salvini bisogna anzitutto convincere gli elettori; e per farlo bisogna avere dei valori in cui credere e un progetto per il Paese che sia alternativo allo statalismo xenofobo della Lega. Se gli elettori avranno la sensazione che l’unico valore è rinviare il voto e l’unico progetto è trovare delle scuse per riempire il tempo, allora bisogna chiamare le cose col loro nome: le attuali opposizioni non sono l’alternativa a Salvini, ma la causa di Salvini.