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Perché il fattore tempo spaventa Salvini, ma non il Pd. Lo spiega il dem Pagani

Di Alberto Pagani

Breve riassunto delle puntate precedenti. Il sedicente governo del cambiamento era fondato su un accordo politico, definito “contratto”, che indicava un programma, condiviso dai due contraenti. Questo si proponeva l’ambizioso obiettivo di cambiare il Paese, con l’auspicio di migliorarlo, ma la realizzazione non ha soddisfatto i due contraenti, altrimenti non si spiega l’epilogo di questi giorni.

L’attuazione del contratto (che va distinto dagli obiettivi politici esclusi dal programma) non ha mai incontrato alcun ostacolo reale, perché entrambi i partiti di maggioranza hanno ingoiato ogni tipologia di rospo pur di approvare in Parlamento leggi e manovre rispondenti alle promesse ed alle esigenze propagandistiche di entrambi. Tutto quel che serviva a soddisfare le aspettative degli elettori gialloverdi, dalla legittima difesa al reddito di cittadinanza, da quota cento ai cosiddetti decreti “sicurezza”, dall’abolizione dei vitalizi e dei privilegi della casta alla concreta proliferazione e spartizione delle poltrone, tutto è stato votato ed approvato dai parlamentari dei due partiti di maggioranza, senza alcuna difficoltà.

Hanno fatto quel volevano, nei limiti delle loro possibilità e delle loro capacità. Le difficoltà incontrate sono dovute in parte all’incapacità arrogante dei governanti, che conoscono troppo superficialmente i problemi e le possibili soluzioni, in parte dalla realtà oggettiva (assai diversa dalle narrazioni della loro propaganda). Qualsiasi governo trova ostacoli alla propria azione nell’insufficienza delle risorse finanziarie (rispetto al costo delle promesse elettorali) o nei vincoli derivati dagli accordi internazionali, ma i gialloverdi hanno dovuto fare i conti anche con gli effetti nefasti delle loro politiche sull’economia del Paese, come è apparso evidente nell’asta per collocare i titoli del debito pubblico.

La grottesca retromarcia sulla legge di Bilancio (dal rapporto deficit/Pil del 2,4 al 2,04), successiva al braccio di ferro insensato con la Commissione Europea, ne è chiaro esempio. Se “squadra che vince non si cambia”, la mozione di sfiducia leghista è l’ammissione del fallimento della proposta politica gialloverde. Dalla soleggiata spiaggia di Milano Marittima il segretario della Lega, vicepremier, ha sentenziato la fine del proprio governo, certificando l’insoddisfazione sua e del suo elettorato per questa esperienza, che dovrà quindi terminare.

Fin qui è tutto talmente ovvio che non necessitano ulteriori spiegazioni. Veniamo dunque alla condizione odierna. È probabile che l’iniziativa di Salvini contempli i due possibili esiti, previsti dalla Costituzione. Nel primo caso il Presidente Mattarella, dopo aver constatato l’impossibilità di formare una nuova maggioranza, scioglie le Camere ed indice nuove elezioni. Questo è lo scenario preferito da Salvini, che basandosi sui sondaggi di opinione, ritiene di poter vincere facilmente le prossime politiche e dar vita ad un nuovo governo di centrodestra, da lui presieduto.

Ma c’è una seconda possibilità, contemplata e prevista dalla Costituzione Italiana: se dalle consultazioni del Presidente della Repubblica emergesse la possibilità di formare un nuovo governo, sostenuto legittimamente da una maggioranza parlamentare, non vi sarebbero le elezioni, e la Lega finirebbe all’opposizione. Anche questo secondo scenario non dovrebbe preoccupare troppo Salvini, che confida nel fatto che i guasti economici lasciati dal suo governo siano talmente gravi e profondi da costringere il successivo esecutivo ad approvare una manovra dura ed impopolare, per evitare le conseguenze del dissesto finanziario ereditato. Il contesto si presenta dunque favorevole ad una Lega d’opposizione, ottimo per fare propaganda con promesse assurde ed irrealizzabili (flat tax al 15% ed al tempo stesso investimenti pubblici, risorse per la sicurezza, ecc.).

La scommessa di Salvini (sulla pelle degli italiani) sembra dunque ben giocata, perché anche in questo secondo caso, alimentando e cavalcando quotidianamente l’insoddisfazione e la rabbia dell’elettorato, la Lega potrebbe aspirare a raccoglierne i frutti nelle tornate elettorali regionali, e riportare presto il Paese ad elezioni politiche, in condizioni di grande vantaggio.

C’è una sola incognita che potrebbe rompergli le uova nel paniere: la nascita di un solido ed autorevole governo politico, capace di contrapporre alla Lega un modo alternativo di intendere la politica, affrontare le enormi difficoltà ereditate con poche idee chiare, ma con la forza ed il tempo necessari, perseguire obiettivi ambiziosi, salvare il lavoro degli italiani puntando sulla riconversione ambientale dell’economia, sull’istruzione e la conoscenza, sul rafforzamento di un welfare inclusivo, moderno e solidale.

È possibile per la sinistra realizzare questi obiettivi con un governo insieme ai Cinque Stelle? “Difficile dirlo, sempre in movimento il futuro è” risponderebbe il maestro Yoda di Star Wars. Quel che è certo, invece, è che questo ipotetico scenario sarebbe potenzialmente catastrofico per Salvini. Un conto è una campagna elettorale di qualche mese, tutta giocata contro i migranti invasori, gli zingari, le zecche comuniste, le famiglie “non tradizionali”, l’Europa e tutti gli altri nemici del popolo che sarà possibile inventare, un altro conto è doversi misurare con una politica che lavora per realizzare un progetto di società diverso dal suo, che spinge ad unire le forze per vincere sfide comuni, invece di alimentare l’odio e le divisioni, in un tempo più lungo dei pochi mesi previsti da Salvini.

Questo è il fattore che teme di più, perché nel tempo le indagini e le inchieste che sono già aperte potrebbero maturare, forse anche concludersi, e potrebbero uscire (o esplodere) tutte le cicche che sono state abilmente occultate sotto il tappeto leghista, dai casi di corruzione già emersi alla possibile sudditanza dei sovranisti nostrani ai disegni strategici di una potenza straniera, quale è la Russia di Putin.

La politica di questi anni, lo abbiamo visto, crea leadership sempre più effimere, esaltate all’inverosimile e poi precipitosamente decadute. L’emotività di un consenso popolare basato sulla demagogia e sulla propaganda brucia molto più in fretta i propri idoli, e questo Salvini lo sa, e lo teme.

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