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Totoministri? Perché alla Difesa serve continuità. Parola di Matteo Bressan

Il toto-ministri impazza, ma occhio al gioco delle figurine. Per alcuni dicasteri, come la Difesa, ci sono tanti dossier aperti su cui le valutazioni sono molto più che semplicemente logistiche. Oltre all’ipotesi di riconferma a palazzo Baracchini per Elisabetta Trenta (avvantaggiata sui temi in sospeso) o addirittura di arrivo di Luigi Di Maio, ci sono tante sfide per l’Italia, spiegate a Formiche.net da Matteo Bressan, analista e docente, direttore dell’Osservatorio per la stabilità e sicurezza del Mediterraneo allargato (OssMed) della Lumsa.

In questa fase di dibattito politico, si sta sottovalutando secondo lei la Difesa?

Purtroppo sì. La sensazione è che nel dibattito di questo mese di crisi si sia parlato poco di difesa e, soprattutto, di tutto quello che ci ruota intorno. Ciò vale anche a livello mediatico, quello che ha l’impatto più forte sull’opinione pubblica, in cui resta un certo deficit nel far comprendere quanto sia fondamentale per il Paese e per la sua economia l’intera filiera dell’aerospazio, difesa e sicurezza. Difatti, “Difesa” è un concetto molto esteso, purtroppo rimasto sempre una argomento da addetti ai lavori, probabilmente a causa di un certo ritardo culturale dell’Italia.

Nel toto-ministri circola la possibilità di una riconferma di Elisabetta Trenta al dicastero della Difesa. Che segnale sarebbe?

Penso che sul ministro della Difesa, come su quello dell’Interno, ci siano valutazioni importanti che spetteranno al Presidente della Repubblica. Si tratta di dicasteri sensibili per la sicurezza della Repubblica e la collocazione dello Stato e dunque, come sempre, Mattarella svolgerà una precisa funzione di garante. Tra l’altro, in quest’anno di governo in cui Elisabetta Trenta ha ricoperto il ruolo di ministro, c’è stato un dialogo rilevante con il capo dello Stato su molti temi importanti. Credo perciò che il Presidente valuterà con esperienza qualsiasi nome, fermo restando il lavoro che è stato fatto fino ad ora. Ci sono d’altronde numerosi dossier e temi aperti, e per la Difesa ciò riguardano anche un ancoraggio importante alla Nato e all’Unione europea.

Altre voci indicano Luigi Di Maio quale possibile nuovo inquilino di palazzo Baracchini. La Difesa guadagnerebbe posizioni nell’agenda politica in mano al leader di una forza di maggioranza?

Ho qualche difficoltà a dare questa lettura. Su alcuni ministeri il gioco delle figurine non mi convince. Ci sono tanti tavoli aperti e importanti. Penso, da profano dei lavori quirinalizi e parlamentari, che su queste scelte il Capo dello Stato farà le sue opportune valutazione.

Ha parlato dei dossier. Qual è la priorità?

Innanzitutto, chiunque avrà l’incarico di ministro Difesa dovrà mantenere la massima attenzione e priorità politica allo sviluppo della cultura relativa al fianco sud della Nato, attraverso le potenzialità dell’Hub Nato di Napoli. Quello meridionale è lo scenario di riferimento, considerando anche le ultime scelte di guardare attentamente la crisi di Sahel e nord Africa, non solo sui flussi migratori, ma anche per i traffici illeciti, il terrorismo e tutte le minacce che provengono da quell’area e che appaiono più preoccupanti rispetto a quelle che attengono l’Europa nord-orientale. All’interno della stessa Alleanza Atlantica, l’Hub sembra spesso, per molti, un oggetto misterioso. Per questo, chiunque sarà ministro della Difesa dovrà ribadire la piena dignità del fianco sud rispetto a quello est, da dove arriva una minaccia più semplice.

Intende la Russia?

Certo, ma la Russia che preme a est è presente anche a sud, in Siria, in Libia e come potenza energetica capace di muoversi su tante dinamiche mediterranee. In più, sul fianco sud della Nato premono terrorismo, traffici illeciti e migrazioni, sfide che necessità di approcci diversi, obbligando le Forze armate a saper operare in contesti non tradizionali, con funzioni di stability come quelle dei nostri militari impegnati in Iraq nella formazione del personale militare e di polizia. Su questo, dobbiamo essere pronti a proiettare le eccellenze che abbiamo, e sono tante, utili soprattutto in funzione di stabilizzazione.

Ciò presuppone tuttavia una chiara postura geopolitica.

E questo si ricollega alla prima domanda. In tal senso, l’auspicio che sento di dare al prossimo esecutivo, insieme al Parlamento, è di avviare la definizione di “una geopolitica dell’Italia”. Viviamo una fase in cui gli alleati non sono automaticamente nostri amici, in cui ci sono ritorni importanti di potenze, come Cina e Russia, in tanti teatri in cui abbiamo una proiezione rilevante (si pensi solo alla nostra presenza a Gibuti, un choke-point fondamentale). Serve dunque uno sforzo ulteriore di Parlamento e governo per un’agenda politica del Mediterraneo allargato. Il rischio, altrimenti, è di non focalizzare i nostri interessi nazionali. Mi rendo conto che sia un passaggio culturale difficile, d’altronde è dal 1991 che la politica non ha saputo affrontare pienamente il problema. Non basta più l’ancoraggio all’Unione europea e alla Nato. Servono altri punti fermi sulle priorità: i Balcani, il nord Africa e la stabilità del Medio Oriente.

Ha citato il Mediterraneo. Nell’esperienza giallo-verde, proprio la gestione del fenomeno migratorio ha generato più di qualche frizione tra Trenta e Salvini. Toccherà al prossimo esecutivo ricostruire un clima di serenità per questa sfida?

Non c’è dubbio. Concordia e massima collaborazione sono fondamentali soprattutto nella gestione del fenomeno migratorio. È uno dei punti centrali nel dibattito italiano dal 2011. Non ho la soluzione al problema, ma certamente la collaborazione totale tra dicasteri è una necessità. Non entro nel merito delle frizioni dell’ultimo anno, ma mi limito a notare come, in alcuni episodi, spesso non si è trovata una soluzione che appariva a portata di mano, considerando soprattutto la disponibilità data da altri Paesi. Il tema resta sicuramente di grande impatto mediatico, e credo che ciò abbia alimentato la tensione nel governo, trasformatasi a volte in un confronto anche molto forte. Eppure, non dovrebbero esserci contrapposizioni né sovrapposizioni tra dicasteri.

Desidera aggiungere qualcosa?

Mi lasci dire che chiunque sarà il prossimo ministro della Difesa dovrà fare un importante lavoro affinché il Paese sia attivo e sfrutti il nascente Fondo europeo di Difesa (13 miliardi di euro in arrivo da Bruxelles per il prossimo quadro finanziario, ndr). È un passaggio per noi fondamentale, poiché permetterebbe di fare importanti passi in avanti in ricerca e sviluppo di sistemi e piattaforme utili per il Paese. Uno strumento importante soprattutto in una fase di uscite di Trump che hanno spaventato gli alleati e nell’incertezza della Brexit. È uno dei dossier su cui servirà prestare la massima attenzione, così come a tutto il comparto industriale, una componente fondamentale del sistema. Recentemente, lo ha dimostrato il varo di unità navali importanti, che manifestano la capacità di costruzione e il know how italiano che molti ci invidiano. Mi piace ricordare, tra tutti, il programma del sottomarino U212 NFS, su cui occorre procedere poiché sarebbe un ulteriore passo in avanti per la tecnologia sovrana e per chiudere un ciclo virtuoso iniziato nel 1996 con la collaborazione con la Germania sull’U212.

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