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Zingaretti è l’ago della bilancia. Può farla pendere per il voto. L’opinione di Ocone

E ora che succede? Ho l’impressione che non lo sappiano nemmeno i protagonisti di questa strana e agostana crisi di governo. E forse nemmeno il Presidente della Repubblica che deve seguire alla lettera la Carta e interpretarne lo spirito nei punti in cui essa non dà soluzioni. Alcuni elementi sembrano però chiari: Matteo Salvini sarebbe disposto a tornare sui suoi passi ma purtroppo non ce ne sono le condizioni. La sua mossa ha scatenato infatti nei Cinque Stelle, e nel premier Conte, una reazione di chiusura netta ad ogni futuro accordo con lui.

Probabilmente, in area pentastellata si aspettava solo che, in una sorta di gioco del cerino, fosse la Lega a rompere perché già era maturata l’idea che insieme non si potesse andare avanti. Non per pretese incompatibilità di idee e programmi: questo lasciamo credere agli ingenui! Ma per un motivo molto semplice: in pochi mesi la Lega ha sottratto ai Cinque Stelle la metà dell’elettorato. Così non si poteva continuare. Il voltafaccia sul Pd nasce dalla scommessa che questo partito, anche a causa delle divisioni interne, potrebbe essere meno pericoloso, soprattutto se un governo di decantazione (governo istituzionale o addirittura monocolore Cinque Stelle con astensione), e non la “formula Ursula” (tutti dentro), li impegnasse sì, ma solo fino a un certo punto.

In questo gioco, si è inserito Giuseppe Conte, il quale, capito che non c’erano più spazi di ricucitura, ha dismesso gli abiti del mediatore e ha assunto quelli del leader grillino in pectore. Questo il senso del durissimo discorso antisalviniano di ieri al Senato, che ha teso anche a mandare segnali di rassicurazione istituzionale al presidente Mattarella e, in generale, a quello che viene definito il deep state.

Salvini da parte sua ha ritirato la mozione di sfiducia, sia per provare ad addossare agli ex alleati la rottura di un governo comunque complessivamente gradito agli italiani, sia soprattutto per stanarli e vedere se già avevano l’accordo col Pd. In verità, questo accordo non c’è ed è molto difficile che possa nascere a breve, anche se sono scesi in campo per perorarlo pezzi grossi come Romano Prodi e Massimo D’Alema.

La chiave di volta, in questo caso, è Nicola Zingaretti. Il quale, alquanto messo in ombra da Matteo Renzi in questa fase, ha la possibilità di riscattarsi. Le elezioni servono infatti anche a lui. Tenendo duro, l’accordo PD-5S non si farà. E si andrà al voto. Il quale serve anche all’Italia perché, probabilmente, delineerà finalmente una maggioranza e un’opposizione chiare e ben definite. Dell’opposizione, Zingaretti sarebbe il leader quasi assoluto, essendosi liberato in un sol colpo di Renzi e anche degli ingombranti Padri storici. E potrebbe così contrastare puntualmente giorno per giorno le politiche del governo, candidandosi a prenderne il posto un domani. Avrà il segretario del Pd la possibilità e il coraggio di compiere questo passo? La palla, a mio avviso, è ora nelle sue mani.

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