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#AmericanDemo. Diario live del viaggio negli States di Nicodemo

E pluribus unum, è molto di più del motto nazionale degli Stati Uniti d’America. Lo capisci appena metti piedi sul suolo americano e prendi un taxi per andare in città. All’aeroporto internazionale Washington-Dulles ho preso il taxi di un ragazzo etiope.

Amadi, 30 anni, etiope, da 5 anni in America, parliamo molto dell’Italia nei 30 minuti di viaggio. Mi dice che si sente americano, che gli piace molto il suo lavoro e spera con tutto il cuore che Trump non venga rieletto. Nei pressi dell’hotel c’è una caffetteria dove vendono solo prodotti biologici, accanto alla cassa ha appiccicato uno stiker di Elizabeth Warren: Abigail mi prepara un Avocado toast e mi spiega che per un quarto è irlandese, per un quarto italiana, un quarto ucraina e per un quarto polacca. Le chiedo allora come si definirebbe e lei mi risponde fiera “americana”.

Said, invece, 64 anni, da 40 negli Usa, è un autista Uber, guida un Suv nero. Mentre mi mostra la foto del nipotino, del figlio e della moglie, se la prende con le multinazionali e nel tragitto mi fa ascoltare Beethoven: “Ho votato per Trump e lo voterò di nuovo il prossimo anno”. E pluribus unum, diversità e identità, migliaia di storie, culture, fedi religiose che condividono la stessa UNICA appartenenza.

In questi primi giorni americani mi sono reso conto che dentro questa unica appartenenza ci sono contraddizioni e differenze gigantesche che è molto difficile spiegare. Sembra un paradosso ma quello che separa un italiano da un tedesco o da un croato è molto meno marcato di quanto siano diversi tra di loro uno che vive in California e uno che sta a Charlotte, North Carolina.

Ecco noi europei dovremmo imparare moltissimo dagli States: come si ottiene uno dai molti, come Stati con le proprie costituzioni e i propri governi possano trovare nella via federalista il modo migliore per crescere in pace stabilità e prosperità. D’altronde la nostra Washington è Bruxelles, e a pensarci bene si assomigliano anche un po’.


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