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Lottando contro la corruzione. I miei 5 anni alla guida dell’Anac. Parla Raffaele Cantone

Magistrato anticamorra. Alla Direzione distrettuale antimafia a Napoli si è occupato delle indagini sul clan dei Casalesi e della Terra dei fuochi. Poi al Massimario della Cassazione fino al 2014, anno in cui è stato nominato alla guida dell’Anac. A luglio ha annunciato le sue dimissioni e l’11 settembre il Plenum del Csm ha deliberato il suo ricollocamento in ruolo.

Raffaele Cantone, come la devo chiamare ancora presidente o già consigliere?

Mi chiami consigliere. Io già dal 23 luglio, quando ho fatto richiesta al Csm di tornare in magistratura, avevo auspicato che ci fosse la nomina del nuovo presidente perché l’Anac è l’unica autorità che ha poteri monocratici alcuni dei quali molto delicati, come, ad esempio, quelli sui controlli sul terremoto, che potrebbero essere messi in discussione dalla mancata nomina del presidente.

Fino a quando resterà?

Grosso modo fino a metà ottobre poi lascerò.

Qual è l’identikit del suo successore?

Non spetta a me fare l’identikit. Spero solo che ci sia l’idea di continuare nell’intuizione, particolarmente felice, dell’allora ministro Patroni Griffi che elaborò la parte della legge 190 dedicata alla prevenzione della corruzione, anche se poi il provvedimento prese il nome del ministro Severino (nome dell’allora ministro della Giustizia).

Della Commissione di studio che scrisse gran parte del contenuto faceva parte anche l’allora consigliere Garofoli, capo di Gabinetto del ministro della Funzione Pubblica (oggi presidente di Sezione in Consiglio di Stato), non ancora particolarmente famoso, ma particolarmente bravo. Dalla Commissione era uscita una norma scritta meglio rispetto alla versione definitiva varata dal Parlamento, che ha una serie di criticità, ma ha il merito indiscusso di aver introdotto un’intuizione importante per il Paese, cioè che la corruzione non si può affrontare solo con le manette. Serve mettere in campo anche rimedi amministrativi.

La mia idea di identikit è che si debba continuare sulla strada della prevenzione che ha dato risultati, soprattutto sul piano internazionale.

Osannato o criticato, lei è un personaggio che ha sempre suscitato sentimenti contrastanti. Di cieca fiducia come quella dei risparmiatori in Veneto che invocavano il suo intervento, o di insofferenza come quella di alcuni suoi colleghi che hanno tacciato l’Anac di andare oltre il proprio ambito di competenze. Quale è il bilancio di questi 5 anni?

È difficile fare bilanci senza rischiare di essere autoreferenziali. In questi 5 anni, non c’è stato solo il mio lavoro. Il Consiglio dell’Anac ha sempre lavorato con grande collegialità e all’unanimità. Il risultato è che abbiamo messo in campo una politica di prevenzione della corruzione, come ci viene riconosciuto anche a livello internazionale, in particolare Osce, Ocse, Onu e Consiglio d’Europa, solo per citare i principali. Nei Paesi europei e non solo, si parla di modello italiano e questo credo sia un risultato oggettivo. Poi, sicuramente, ci sono state molte critiche alcune delle quali giustificate, perché, in alcuni momenti, ci sono stati oggettivamente attribuiti poteri spuri come per gli arbitrati.

Vi siete occupati anche dei rimborsi dei cittadini vittime delle banche?

Ci hanno attribuito poteri che nulla avevano a che vedere con l’Anac e di cui avrebbe dovuto occuparsi la camera arbitrale dell’Autorità. Non è andata così. Il presidente del collegio arbitrale l’ho fatto io che nulla sapevo di diritto bancario e che l’ho dovuto studiare da un giorno all’altro, peraltro con discreti risultati!

In un anno abbiamo chiuso 1800 arbitrati grazie al lavoro straordinario di due collegi e degli altri componenti che erano particolarmente competenti, senza nessun onere a carico delle finanze pubbliche perché ha pagato tutto il Fondo interbancario, a differenza di quanto oggi è previsto nella legge, con uno stanziamento particolarmente rilevante.

Abbiamo riconosciuto solo a quelli che avevano veramente titolo il rimborso e non generalizzato a chi aveva fatto investimenti assolutamente speculativi.

Torniamo alle critiche: molte vi sono state mosse anche dalla magistratura ordinaria e in particolare dalla Procura di Milano.

Molte critiche ci arrivano ancora oggi. Leggevo su un sito abbastanza importante che fra i problemi del Paese c’era l’istituzione dell’Anac, vista non come un’opportunità ma come un problema, secondo la solita l’idea, che io contesto, che l’Autorità abbia avuto un effetto di burocratizzazione del sistema amministrativo.

Dal punto di vista della magistratura credo che l’idea di un’autorità amministrativa che potesse occuparsi di corruzione fosse un po’ in contrasto con la concezione tradizionale che vede la corruzione come un terreno di assoluta pertinenza della magistratura, soprattutto inquirente.

Quando si è cominciata ad attuare la politica di prevenzione della corruzione, questo ha ingenerato qualche reazione da parte del mondo giudiziario, ma complessivamente le reazioni sono state molto positive. Abbiamo fatto convenzioni con quasi tutte le procure del Paese per lo scambio informativo di atti e documenti, e abbiamo sviluppato rapporti di collaborazione particolarmente intensi, in vari casi anche mettendo a disposizione di varie inchieste il nostro know how, soprattutto in materia di appalti pubblici. In definitiva credo che quello proveniente dal mondo giudiziario sia stato il minore degli attacchi ricevuti.

Sul vostro sito c’è un’apposita sezione “Ambiti di cui l’autorità anticorruzione non si occupa”. Vi sarà arrivato di tutto! Si ricorda qualche caso particolare?   

In effetti ci sono arrivate le lamentele più incredibili. Per un certo periodo siamo diventati la buca delle lettere del Paese. In percentuale, la cosa che mi ha meravigliato di più è il numero di esposti che riguardavano attività giudiziarie, soprattutto della magistratura ordinaria. Un numero incredibile di provvedimenti su cui nulla potevamo fare se non trasmetterli alle Procure. Non avrei mai immaginato tante e tali segnalazioni.

Perché le mandavano proprio a voi?

Questo è stato un segnale che mi ha fatto riflettere su come all’interno del Paese ci sia l’esigenza di trovare qualcuno che possa essere un referente della legalità. Non eravamo noi ad avere competenze specifiche, eppure ci continuava ad arrivare di tutto. Mi sono reso conto che nel Paese c’è una sete di legalità che non sempre riesce a trovare i giusti punti di riferimento. Non è detto che quelle istanze avessero qualcosa di rilevante, anzi probabilmente erano quasi tutte infondate, ma, dall’esterno, mai mi sarei immaginato tante e tali lamentele: le più incredibili nei confronti delle amministrazioni, sulla gestione dei concorsi pubblici o sugli avanzamenti di carriera.

Mi dica se è vero, una Prefettura vi ha chiesto come andavano aperte le buste?

Sì, purtroppo, è vero. In materia di appalti ne abbiamo viste di tutti i colori.

E cosa gli avete risposto?

Che lo prevede il codice, come si aprono le buste! La cosa incredibile è che ci veniva richiesto da una Prefettura, non da una qualsiasi stazione appaltante. Il tema degli appalti è quello oggettivamente più problematico, perché questo meccanismo della fuga o paura della firma, di cui tanto si parla, è un meccanismo reale, ma spesso anche un comodo alibi per non assumersi responsabilità. Alcune amministrazioni hanno provato ad avere da noi la copertura prima di assumere decisioni. E qualche volta abbiamo anche sospettato, poi ne abbiamo avuto riscontro, che volevano da noi il via libera per fare cose poco chiare e non del tutto regolari. Tant’è che abbiamo regolato in modo molto preciso i casi nei quali possiamo rilasciare pareri in materia e questo proprio nella logica di non essere scambiati per organo di consulenza, essendo, invece, organo di vigilanza sulle materie di nostra competenza.

Trasparenza e legalità nell’azione amministrativa. L’Anac ha realizzato il primo studio sugli “accessi ai siti dei 20 maggiori comuni italiani”. Il primato dei click, con il 56%, spetta alla voce “provvedimenti” e solo il 24% alla voce “organizzazione” dove si visualizzano gli staff e i compensi, ovvero spese e rimborsi di sindaci, assessori e consiglieri. Da questi dati, inaspettatamente, emerge che ai cittadini piace la trasparenza e non sbirciare dal buco della serratura. Come lo spiega?

Io mi aspettavo abbastanza questo esito, ed è una delle cose che mi lascia più ottimista sul futuro. Abbiamo recuperato un gap enorme in materia di trasparenza dell’azione amministrativa. Lo abbiamo fatto nel 2013 con il codice della trasparenza e poi nel 2016 con il Foia. Quando facemmo questo monitoraggio tutti ci dicevano che le pubblicazioni sui siti erano meri adempimenti burocratici, e che la gente non era interessata ad andarli a vedere, al massimo sarebbe andata a sbirciare i compensi del sindaco. Il nostro monitoraggio ha dimostrato che non è così. La maggior parte dei siti sono molto visitati malgrado non siano sempre facilmente accessibili. Nel senso che si richiede un minimo di competenza informatica, però gli interessi dei cittadini riguardano proprio le attività e i provvedimenti, in particolare sugli appalti, non le consulenze, a dimostrazione che quel meccanismo sta entrando nella cultura del Paese.

 

 

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