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Perché la Fed ha ritoccato i tassi. L’analisi di Pennisi

La Federal Reserve (Fed) ha ritoccato di un quarto di punto percentuale il tasso di riferimento di base (l’interbancario), portandolo all’1,75% e non ho offerto alcuna spiegazione della mossa nella conferenza stampa successiva alla riunione dell’Open Market Committee che ha deliberato il piccolo passo.

Perché lo ha fatto? E quali saranno le implicazione? Sulle prime, si è pensato ad un piccolo inchino della Fed nei confronti di Donald Trump, che ne ha nominato il presidente Jerome Powell ed insiste da tempo per misure monetarie espansive, nonché di arruolare la stessa Fed in una guerra valutaria nei confronti dell’euro. Tuttavia, il presidente degli Stati Uniti (che revocherebbe Powell, se potesse) ha riempito la Fed di insulti ritenendola troppa timida, e quasi al servizio della Banca centrale europea. Indubbiamente, Powell ha dovuto faticare non poco a trovare un punto di consenso all’interno dell’Open Market Committee; lo sapremo tra tre settimane quando il verbale verrà pubblicato.

Molto verosimilmente, dato che l’economia americana va abbastanza bene e che la prossima recessione è vista nei modelli econometrici e non nei conti delle imprese e nelle tasche della gente, numerosi componenti del Comitato non se la sono sentita di sostenere una riduzione. Lo ha commentato Robert J. Shiller. Tuttavia – come rilevato da Donato Masciandaro sul Sole 24 Ore del 19 settembre– un segnale ambiguo, come quello dato dalla Fed, aggrava l’incertezza. E – aggiungo io – vale la pena ricordare il detto di George W. Bush il 10 ottobre 2008 (quando stava iniziando la recessione di quegli anni) in una conversazione nel giardino delle rose della Casa Bianca con la stampa: Ansietà genera ansietà.

Siamo poi davvero sicuri che le misure monetarie incidono davvero sulle recessioni? Abbiamo ricordato il 18 settembre su questa testata che numerosi economisti lo smentiscono o quasi. Hanno certamente effetto sui conti delle banche: il calo dello spread, imputabile in certa misura al Quantitative Easing della Bce, sta incidendo positivamente sui conti profitti e perdite solamente delle banche italiane per 2,4 miliardi, ma nessuno sa quando di questo bonus arrivi alle imprese e quindi all’economia reale. Negli Usa il Congressional Budget Office raccomanda da tempo misure ‘aggressive’ di politiche di bilancio. Proprio quelle che noi in Italia non possiamo attuare a causa dell’enorme debito pubblico. In breve, a mio avviso, il piccolo passo della Fed potrà accorciare i tempi della recessione prossima ventura invece di allungarli attraverso la catena ambiguità>incertezza>ansietà.

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