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Accento sul fisco o sulla moneta? Il senso del dilemma alla Bce

Tira un’aria un po’ da inizio Anni Settanta alla vigilia della riunione del Consiglio della Banca centrale europea (Bce) in calendario per domani 12 settembre. Ed è particolarmente importante per due ordini di motivi: da un lato, è la prima riunione del Consiglio non solo dopo la pausa estiva ma dopo che i dati hanno certificato che la Germania sta entrando in recessione; da un altro, sarà il penultimo Consiglio presieduto da Mario Draghi prima che passerà formalmente le consegne a Christine Lagarde. Il secondo aspetto è meno importante del primo perché Draghi e Lagarde hanno già avuto diversi incontri e la guida della Bce sarà al segno della continuità.

È sul primo punto che si è acceso un dibattito simile a quello di 45 anni fa quando, soprattutto negli Stati Uniti, si fronteggiavano due scuole, chiamate, in lessico giornalistico, quella dei fiscalisti e quella dei monetaristi. La prima riteneva che per superare la recessione (che allora si coniugava con una crescente inflazione) successiva alla crisi petrolifera si dovessero utilizzare strumenti di politica di bilancio (fiscal policy in inglese), mentre la seconda puntava su strumenti (anche non convenzionali) di politica monetaria. Naturalmente i primi non escludevano i secondi; era questione di importanza tra gli strumenti di bilancio e quelli monetari tanto che il dibattito prese il nome di fine tuning, ossia dosaggio raffinato delle due medicine.

Il nodo immediato è se la Bce debba riprendere, ed anche ampliare, il Quantitative Easing, alzando ad esempio dal 30% al 50% il limite degli acquisti di nuove emissioni di titoli di Stato emesse nell’Eurozona o se debba, anche per ragioni di garbo, attendere che una misura di questo genere (non dimentichiamo che la stessa legittimità del Quantitative Easing, per quanto benedetta dalla Corte Europea di Giustizia, è ancora sotto esame alla Corte Costituzionale Tedesca) venga presa da una Bce a guida Lagarde.

Non mancano le voci in favore di un’azione rapida, accompagnata da appelli del presidente Bce ai governi in grado di adottare politiche di bilancio espansioniste di utilizzare tutto il fuoco di cui dispongono. Al tempo stesso, altre voci autorevoli, come l’ex Segretario al Tesoro Usa Lawrence Summers, ora all’Università di Harvard, sostengono che il mondo, e soprattutto l’eurozona, sguazza in liquidità e stimoli monetari aggiuntivi non avrebbe alcun effetto. Tenderei a condividere il punto di vista di Summers anche perché il tasso Bce sui depositi è al -0,4%.

Tuttavia, chi nel mondo occidentale è in grado di attuare politiche espansive di bilancio, senza incorrere in forte aumento del proprio debito pubblico e trainando il resto dell’area. Esaminando le statistiche del Fondo monetario sembrano esserci soltanto due grandi Paesi con la caratteristiche tali da poter attuare politiche di bilancio espansive senza rischi per l’aumento del debito sovrano (Germania e Stati Uniti). C’è un lungo elenco di Paesi piccoli che possono allentare la corda: Australia, Danimarca, Estonia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Olanda, Romania, Svizzera. Anche ove si potesse attuare una manovra sincronizzata di questi Paesi, lo stimolo complessivo non sarebbe tale da incidere sull’economia mondiale.

Quindi, le misure monetarie, anche se non determinanti, possono essere necessarie.

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