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Così Macron fa innovazione con la Difesa. Messaggio per Guerini e Pisano

Parigi fa sul serio. Le note ambizioni francesi nel campo della Difesa (a partire da quella nascente europea) appaiono ben supportate da programmazione di lungo periodo e cospicui piani di investimento. Molti di questi sono dedicati alla modernizzazione dello strumento militare, affidata per lo sviluppo del pensiero e dei progetti più all’avanguardia a un’apposita Agence innovation defence (Aid). Alla sua guida c’è Emmanuel Chiva, dottore in biomatematica con una specializzazione in intelligenza artificiale e nel campo dei sistemi complessi e della bio-mimetica, la disciplina che prende spunto dalle efficienze della biologia per lo sviluppo delle tecnologie umane. Uno che di innovazione se ne intende.

LA SPINTA DELLA DIFESA

L’Agenzia nasce su indicazione della Legge sulla programma militare 2019-2025, presentata l’anno scorso dal ministro Florence Parly con l’obiettivo di predisporre il tracciato su cui far scivolare l’intera modernizzazione dello strumento militare francese. Per farlo, si prevedono 198 miliardi di dollari fino al 2023, nell’ambito di quasi 300 miliardi per l’intero periodo sessennale. Significa una disponibilità media annua di 39,6 miliardi, rispetto ai 34,2 che la Difesa ha gestito nel 2018 (già superiori di quasi 2 miliardi all’anno precedente). Il target è raggiungere il 2% del Pil entro il 2025, incrementando soprattutto gli investimenti per i sistemi d’arma di tutti i domini operativi.

L’INTEGRAZIONE DELL’AGENZIA…

Proprio per questo la Parly ha voluto che nascesse l’Agence innovation defence, alle dipendenza della Direzione generale per gli armamenti (Dga) che già, all’interno del dicastero della Difesa, aveva responsabilità sulla ricerca militare, considerata tra l’altro tra i primi attori europei in questo campo. L’integrazione dell’Agenzia nelle pieghe della difesa transalpina non è stata delle più semplici. Già a dicembre dello scorso anno, a tre mesi dalla sua creazione, Le Tribune evidenziava le insofferenze emerse proprio dalla Dga, dai cui ranghi si è attinto per sostanziare la novità istituzionale. Ci è voluto un po’ per armonizzare il tutto, ma il risultato è ritenuto soddisfacente da Chiva, che ha affidato a una lunga intervista su Le Tribune il suo bilancio (più che positivo) sul primo anno di lavoro.

…E LA SODDISFAZIONE DI MACRON (CON L’UOMO VOLANTE)

L’obiettivo indicato dal ministro era chiaro: “Dotare il dicastero della Difesa di un dispositivo efficace che copra tutti i domini dell’innovazione e che permetta di far emergere nuove forme innovative e nuovi innovatori”. Altrettanto chiaro era il sostegno dei massimi vertici politici, a partire dal presidente Emmanuel Macron che, non a caso, ha voluto dedicare la parata militare dello scorso 14 luglio proprio al tema dell’innovazione militare, seguendo la sfilata con applausi soddisfatti. Il più soddisfatto arrivò quando sugli Champs Elysees passò, fucile tra le mani, un uomo volante, il campione Franky Zapata a bordo del suo flyboard. Pochi sanno che la sua partecipazione alla parata è avvenuta perché l’Aid (in scena durante le celebrazioni) ha deciso di supportarne il progetto. Si lavora per migliorarne “la riservatezza acustica e l’autonomia di volo”, ha spiegato Chiva. Difatti, “si può immaginare di usarlo per un assalto o una rapida estrazione in un contesto di combattimento ad alta intensità”, o anche per “trasporto logistico di munizioni e cibo o per l’evacuazione medica nella zona di combattimento”.

“IMMAGINARE OLTRE”

Ma l’uomo volante è solo uno dei tanti progetti su cui lavorano all’Aid, tra neuroscienze (per “un velivolo cognitivo” anche in vista del caccia Fcas), ipersonico (con il velivolo sperimentale Vmax) e spazio extra-atmosferico (con 700 milioni di aumento recentemente annunciati dalla Difesa rispetto ai 3,6 miliardi previsti). Tra l’altro, tre giorni prima della parata, l’Agenzia ha pubblicato il Documento per l’orientamento dell’innovazione della Difesa (Doid), intitolato “Immaginare oltre”. Un titolo presso alla lettera, tanto che si prevede anche la creazione di un “Red team” composto da futurologi e autori di fantascienza che avranno il compito di immaginare i possibili scenari operativi di domani, arrivando persino alle versioni più catastrofiche. “L’idea – ha detto Chiva – è di immaginare il futuro nel lontano orizzonte, 2050 o 2080, e di anticipare le minacce future; per definizione, siamo prigionieri della nostra mente quotidiana e per perforare il muro dell’immaginazione è necessario fare appello a persone che pensano fuori dagli schemi: gli autori di fantascienza sono tra quelli”.

IL PERSONALE

Un primo esperimento è già stato fatto. Tra i risultati, c’è chi ha disegnato una sorta di serpente marino in grado di dividersi in più droni per confondersi con la popolazione acquatica. Per il suo “immaginatore”, potrebbe essere così, nel 2080, un drone navale di superficie. A parte il Red team, attualmente lavorano nell’Aid 100 unità, personale che arriva dalla Dga, dallo Stato maggiore della Difesa e dalle singole Forze armate, tutti organismi rappresentati nel comitato direttivo. Ciò dimostra, ha spiegato Chiva, che “l’Agenzia è riuscita a inserirsi bene nell’ecosistema della difesa preesistente”. Oltre gli aspetti gestionali, ci sono però quelli finanziari. L’Aid si occupa di finanziare “gli studi iniziali e i meccanismi di sostegno all’innovazione”, gestendo oggi un budget di 720 milioni di euro che arriverà a un miliardo dal 2022. Per gli acquisti poggia su un team reso disponibile dalla Dga, che garantirebbe “una notevole integrazione” tra le due istituzioni.

LE PRIORITÀ

Poi, a fronte di un personale ancora risicato, la “fortuna” descritta da Chiva è che ad esso si aggiunge “il sistema”, composto da start up, cluster tecnologici e laboratori, tutti coinvolti nell’obiettivo di dare efficienza alla modernizzazione dello strumento militare. La parola d’ordine è al momento “rapidità”. Si punta a velocizzare l’attuazione dei progetti che vengono presentati e accettati, passando “il più rapidamente possibile da una situazione di prima sperimentazione alla fase di produzione”. Il primo passo è la creazione di uno sportello unico ove potranno essere presentati i progetti da sottoporre alla Difesa. Chiva ne prevede circa 400 all’anno, da cui poi conservarne “da 15 a 20” con un non piccolo sforzo di “ridimensionamento”.

E L’ITALIA?

Tutto questo permette di comprendere il livello di ambizione francese nel campo dell’innovazione militare. Di base, c’è la convinzione che la Difesa rappresenti un pilastro per il mantenimento della sovranità nazionale e della postura sugli scenari globali. L’approccio pare lungimirante, e forse potrebbe offrire diversi spunti anche per il nostro Paese. Oggi, l’Italia dispone del Centro innovazione della Difesa (Cid), inquadrato nel III Reparto dello Stato maggiore della Difesa dedicato a Politica militare e pianificazione. Ha il compito di “garantire lo sviluppo e l’aggiornamento di un adeguato quadro concettuale e dottrinale, in grado di supportare il processo di trasformazione dello strumento militare nazionale”. L’Agenzia francese è piuttosto diversa, con un corposo budget a disposizione e un rapporto diretto con la direzione che si occupa del procurement. Il problema non pare però meramente funzionale. Il punto di partenza (che forse ancora ci manca) è la piena consapevolezza della rilevanza dell’innovazione nel campo militare, soprattutto di fronte a scenari operativi in costante evoluzione.


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