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Il governo anomalo. Il Conte 2 visto da Giuseppe Pennisi

Oggi 4 settembre o, al più tardi, domani 5 settembre, nasce il governo M5S – Pd, un governo anomalo nel senso puramente etimologico di questo aggettivo differente dalla norma. Questa testata, soprattutto tramite gli editoriali ed i corsivi del proprio direttore editoriale Roberto Arditti ha commentato il difficile e soprattutto anomalo percorso di formazione dell’esecutivo, un percorso che spesso sembrava privilegiare le ambizioni (giuste o sbagliate) personali piuttosto che la definizione dei temi da affrontare e delle soluzioni da proporre. Ed è stata una strada anomala, tanto più alla vigilia quasi del giuramento dei ministri, non è dato sapere come verranno affrontati i nodi più immediati, quali quelli della formazione della prossima, ed ormai quasi immediata, legge di bilancio.

Occorre, comunque, dare credito al governo anomalo che cercherà, al meglio delle proprie abilità e nei limiti delle proprie capacità, di affrontare e risolvere i problemi di un Paese, l’Italia, che ristagna da venti anni ed in cui sono accentuati i divari sociali. La difficoltà principale è che il governo anomalo cerca di coniugare due culture politiche e due blocchi economico sociali profondamente differenti, ed anzi divergenti. Nel processo di formazione del governo M5S-Lega, poco più di anno fa, abbiamo sottolineato che nonostante le due forze politiche fossero state avversari (anche feroci) nella precedente campagna elettorale, avevano, quanto meno sottotraccia, una matrice comune: erano due forze politiche impregnate da una buona dose di populismo, con una visione più nazionalista che europeista, e marcate da una forte determinazione di portare un cambiamento generazionale nella conduzione del Paese. Rappresentavano, quindi, blocchi sociali che, nonostante le differenze (soprattutto sotto il profilo geografico), avevano punti in comune.

Nonostante i proclami congiunti sul governo della svolta che trasformerebbe e farebbe correre l’Italia molto più del litigioso governo del cambiamento, è davvero arduo individuare punti in comune, e blocchi sociali comuni di riferimento, tra M5S e Pd. Il primo nasce come movimento non come partito anti-sistema (ed anti-Casta) al pari di numerosi altri movimenti analoghi sorti in Europa (e non solo) in questi ultimi anni. Ha un forte contenuto di rinnovamento, anche e soprattutto generazionale, del ceto politico, si definisce post-ideologico perché considera superate le divisioni di cultura politica del secolo scorso, preferisce la democrazia diretta a quella rappresentativa, considera i propri eletti ‘portavoce’ degli elettori non rappresentanti della nazione, si propone come espressione del riscatto di quelle fasce della popolazione che credono, a torto od a ragione, di non avere usufruito dei benefici della crescita economica. Il suo blocco sociale è costituito soprattutto da giovani privi sovente di occupazione o con un impiego che non considerano adeguato.

Il secondo è essenzialmente il tentativo italiano di formare un partito (non un movimento) socialdemocratico, simile a quelli del resto d’Europa (partiti – è doveroso ricordarlo- ora quasi sempre in gravi difficoltà, anche e soprattutto elettorali). Nasce dalla fusione, peraltro non ben amalgamata dopo tra decenni di tentativi, della sinistra che un tempo si definiva comunista, della sinistra cattolica e della sinistra liberale. Non solo, come si accennato, al pare di altri partiti socialdemocratici europei, parte del suo ‘blocco sociale’ è andato verso movimenti populisti e sovranisti, ma analisi delle ultime tornate elettorali mostrano che geograficamente ha i maggiori successi nei quartieri benestanti delle grandi città. Non proprio la gauche à caviar come dicono i francesi, ma quasi. Un ‘blocco sociale’ dipinto dai leader M5S, a torto o a ragione, come la Casta, da abbattere o quanto meno sconfiggere. Un governo anomalo ora legato da un matrimonio forse più di interessi che da una visione comune e da programmi, la cui navigazione non si prospetta facile.

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