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Perché l’innovazione può essere uno dei punti di forza del governo Conte 2

Di Flavio Arzarello

In pochi l’hanno sottolineato, ma l’innovazione potrebbe essere uno dei punti di forza – e di maggiore concordia – della nuova maggioranza e quindi del nuovo esecutivo.

Durante il governo Conte I – quando il governo era organizzato secondo quella che chiamavamo “architettura a silos” – il tema è stato sostanzialmente ad esclusivo appannaggio del M5S, che ha puntato fortemente su blockchain, Intelligenza artificiale, fondo per le start-up e cittadinanza digitale.

Va detto che il Mise a guida Di Maio aveva confermato con modifiche minime – seppur senza grande clamore – il piano Impresa 4.0 introdotto dai governi a guida Pd, e il Piano Banda Ultra Larga messo in campo dal sottosegretario dem Giacomelli.

Già prima che il Conte II inizi la sua reale azione possiamo svolgere qualche considerazione preliminare: a differenza dei governi precedenti, viene introdotto il ministero all’innovazione e alla digitalizzazione, che dovrà accompagnare il sistema Paese nel futuro. Sulla Pa si giocherà una parte importante della sfida: cittadinanza digitale significa consentire ai cittadini di usufruire dei servizi pubblici attraverso strumenti digitali efficienti raccolti in una “identità digitale” unica. Per far questo, sarà decisivo risolvere i problemi di legacy provenienti da sistemi informativi precedenti e dare piena attuazione al Cad, a partire dal principio del digital first e della valorizzazione dei responsabili della transizione al digitale delle Amministrazioni, su cui la ministra Bongiorno insieme ad Agid aveva dato sèguito agli impulsi della Commissione parlamentare di Inchiesta sulla digitalizzazione della Pa della scorsa legislatura. Inoltre, sarà importante che si tratti di reale digitalizzazione, cioè di semplificazioni significative di processo e non unicamente di mera dematerializzazione.

Venendo al programma di governo non si può non salutare positivamente che principi che fino a pochi mesi fa erano considerati per specialisti come “interoperabilità” e “portabilità del dato” siano entrati a pieno titolo e dalla porta principale nell’agenda dell’esecutivo. Così come è positivo il tentativo di agganciare impresa 4.0, la digitalizzazione delle Pmi a iniziative di venture capital per le start up da una parte e a programmi per rafforzare le digital skills dall’altra.

Come spesso in politica, la difficoltà principale sarà convertire questi impegni in realtà, superando sacche di conservazione e anacronistica diffidenza “analogica”, che purtroppo nel nostro Paese si annidano in maniera trasversale in tutto l’arco parlamentare. In particolare, chi fa innovazione ha necessità di poche regole chiare e di un ecosistema che consenta la sperimentazione: sarebbe bello – ad esempio – che si aprisse una stagione di fermento, in cui attraverso sand-box per l’innovazione l’Italia valorizzasse i propri talenti e ne attraesse di nuovi. Del resto questo è stato l’atteggiamento della neo ministra Paola Pisano durante il suo mandato da assessora all’innovazione a Torino. Al contrario, l’equivoco che il nuovo ministero deve evitare è quello di diventare un hard regulator, di cui davvero l’Italia – e il mondo tech in generale – non ha bisogno.

Infine, l’annosa questione della tassazione dell’economia digitale va affrontata non per slogan – come troppo spesso è stato fatto sino ad ora – ma aprendo una discussione rigorosa e profonda: in Francia – Paese da cui la versione italiana della web tax è stata sostanzialmente mutuata – Amazon ha già annunciato che la nuova tassa sarà trasferita direttamente sui vendors, rendendola di fatto una tassa sull’innovazione pagata dalle Pmi francesi e non dai big players.

In definitiva, per motivi difficilmente prevedibili anche solo poche settimane fa, e non ultimo grazie al profilo delle donne e degli uomini che ne fanno parte, il governo Conte II si trova di fronte a un’occasione unica per innovare il nostro Paese e portarlo nel futuro. Non possiamo che aspettare fiduciosi i primi passi concreti.

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