La forza di ogni governo non sta solo nel suo potere di agire nell’interesse generale ma, soprattutto, nel lavoro politico di chi sta fuori. Oggi, il tema delle democrazie rappresentative è la carenza di partecipazione.
La partecipazione è un processo continuo e profondo che esce dalle logiche interne di una forza politica che – secondo differenti modalità – coinvolge i propri elettori e simpatizzati, per ricongiungersi con la realtà. Le forze politiche mai possono dirsi autoreferenziali perché le sfide della realtà globale, evocate nella riflessione di ieri, non sono di parte ma coinvolgono l’intero impianto della convivenza.
Nulla è più fragile della democrazia rappresentativa. In tanti ne hanno descritto le potenzialità e i rischi, a cominciare dalla sua possibile degenerazione. Qualora volessimo imparare, la storia insegna.
Per dare resilienza alle nostre democrazie, il lavoro politico è fondamentale. Siamo immersi in un periodo di forte leaderizzazione della politica, in una riproposizione – da terzo millennio – del rapporto capo – masse. Ciò, evidentemente, non aiuta a creare comunità politiche nel quadro della comunità politica più ampia che è rappresentata dai cittadini che vivono in e la democrazia. Nel rapporto capo – masse, il messaggio politico non può che essere di propaganda, toccare le paure e le corde più intime e sensibili, generare un consenso fragile e che fatica a costruire rappresentanza.
La forza del governare è la risultante di un’azione politica diffusa e radicata. Solo a esempio, i cittadini vivono le conseguenze talvolta impietose di una innovazione dilagante e si ritrovano in un disagio esistenziale ponendosi domande di senso e di possibilità di costruzione del futuro per sé e per i propri figli. Affinché non sia il disagio a votare, è importante che il lavoro politico esterno alle stanze dei ministeri e dei palazzi entri nel pieno delle trasformazioni del mondo del lavoro, ne colga le transizioni, ne individui le soluzioni, discutendone laddove la gente vive e soffre, anche assumendosi il rischio della impopolarità.
Il lavoro politico deve intercettare quella noia verso la politica che non parla più al cuore della società ma che si parla addosso. Nessun leader, a qualunque schieramento appartenga, può più dirsi certo del proprio consenso; l’irrilevanza reale nella quale le maggioranze sono immerse fa il paio con una crescente fluidità nelle scelte politiche dei cittadini.
Non vi è dubbio che, fin da subito, la politica debba ritornare ad avere dubbi, a sentire il bisogno di cambiare nella realtà (anche contraddittoria) non cullandosi (pericolosamente) nelle proprie certezze su di essa.