Il Conte Bis, stando a queste battute iniziali, non presenta quei caratteri di discontinuità che, almeno per una buona parte del Paese, sarebbe stato lecito aspettarsi. C’è (almeno per ora) un cambio nei toni, nel linguaggio, nello stile, nella scelta di porre l’accento su alcune tematiche (es. transizione ecologica) in luogo di altre. Ma questa è solo comunicazione, retorica, non sostanza.
La ricetta magica tanto del Conte gialloverde quanto del Conte giallorosso, prima avvocato del popolo e oggi difensore delle istituzioni, resta purtroppo la medesima e si chiama spesa pubblica in deficit. L’unica differenza è che mentre Salvini-Di Maio la pretendevano in nome del popolo e con la velata minaccia di far saltare l’Euro, oggi Conte-Gentiloni la richiedono con maggiore garbo istituzionale: la chiamano (come ha fatto, prima di loro, Renzi) flessibilità o riforma dei parametri quantitativi del Patto di Stabilità e Crescita (si veda Mattarella a Cernobbio), ma sempre più spesa in deficit significa.
Per coerenza ed onestà intellettuale, coloro cha hanno criticato il Governo del cambiamento e la “manovra del popolo” non potranno che criticare anche questo Governo qualora dovesse persistere sulla medesima strada. Redistribuire senza adottare soluzioni per favorire una crescita sostenibile, equilibrata e duratura, in una fase in cui la torta tende progressivamente a restringersi e i costi dei servizi pubblici a crescere esponenzialmente, è del tutto irresponsabile. Se sbagliare è umano e perseverare diabolico, la riproposizione in salsa diversa della medesima ricetta in violazione dei più basilari principi di prudenza fiscale significa davvero non aver capito nulla dalla lezione della crisi dei debiti sovrani, dall’esperienza della Grecia e di quali siano le precondizioni giuridico-istituzionali per la crescita.
La realtà è che nel nostro Paese, in modo non dissimile da quanto avvenuto nel corso della prima e della seconda repubblica, non si è ancora affermato l’unico vero bipolarismo che potrebbe farci fare un decisivo passo avanti verso la modernizzazione del nostro sistema economico e sociale: quello basato sulla contrapposizione tra il partito della spesa e della presenza pervasiva dello Stato in ogni attività (a cui possiamo a vario titolo iscrivere pressochè tutte le forze oggi rappresentate in Parlamento) e quello della libertà e di un effettivo esercizio della sovranità popolare da intendersi, all’opposto di quanto superficialmente fanno i nostri partiti populisti/sovranisti, non quale risultato dell’esecuzione di una presunta volontà generale di stampo giacobino e organicistico, bensì quale recupero da parte della società di quegli spazi di azione che un inefficiente sistema politico-amministrativo e di welfare di stampo marcatamente pubblicistico hanno progressivamente eroso provocando una grave rottura del patto tra generazioni (che risponde al nome di debito pubblico) senza peraltro essere riuscita a costruire un sistema realmente in grado di dare effettività ai diritti fondamentali della persona (si pensi, solo per fare degli esempi, ai gravi problemi della scuola, alle persistenti disuguaglianze regionali nel settore della sanità e alle pesanti carenze nel campo dell’assistenza sociale).
Il grande assente è dunque il partito della fiducia nel buon senso, della ricerca di una sintesi Politica capace di mantenere in equilibrio mezzi utilizzati e fini perseguiti dallo Stato. Uno schieramento silenzioso ma rivoluzionario che, facendo propria la nozione sturziana di popolo e della sovranità come limite piuttosto che legittimazione di un potere politico che aspira ad operare senza freni (o, come dicono alcuni, con “pieni poteri”), sappia riconoscere il ruolo sussidiario dello Stato rispetto alla persona e alla società, liberando le energie di un Paese bloccato, perennemente ostaggio di interessi di parte che il sistema politico non è stato sin qui in grado di ricomporre in nome del bene comune.