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Tra riforma fiscale e sussidi ambientalmente dannosi. L’analisi di Medugno

Tempo di Legge di Stabilità e, quindi, la riflessione sui temi fiscali è attuale. Tutti partono da lì e cioè dal tema dell’Iva e delle clausole di salvaguardia, per poi più recentemente allargare la riflessione su misure riguardanti il cuneo fiscale per dare più soldi in busta paga ai lavoratori. A parte riflessioni più ampie su come le risorse pubbliche sono state investite in questi ultimi anni, cerco di concentrare l’attenzione sul tema di una riforma fiscale ecologica che riorganizzi le entrate dello Stato italiano a gettito invariato, introducendo tasse ambientali e riducendo i sussidi impropri, abbassando le tasse sul costo del lavoro e aumentando gli investimenti pubblici nella green economy. Chi può dirsi contrario a livello di principio? Nessuno. Eppure, ci sono buone ragioni per non arruolarsi tra i favorevoli senza procedere a molti approfondimenti.

Insomma bisogna intendersi. Innanzi tutto in Italia la pressione fiscale è già alta. Su ciò non va aggiunto altro, se non che un’alta pressione fiscale ha avuto anche l’effetto di ridurre gli investimenti, anche quelli in ricerca e innovazione. Tosando tosando di lana ne rimane poca e, qualche volta, non cresce neanche più! Quindi far riferimento al gettito invariato, porta con sé questa prima difficoltà di fondo. E cioè che il livello di tassazione va prioritariamente abbassato per rilanciare la competitività del Paese. Senza, poi, considerare le entrate parafiscali: ad esempio quelle delle bollette energetiche (che pagano le imprese e famiglie) che finanziano le fonti rinnovabili. Senza contare che un nucleo ristretto di imprese pagare già il diritto ad emettere CO2 secondo le regole comunitarie in vigore. Queste entrate parafiscali, pur non essendo inserite nel bilancio dello Stato assolvono alla funzione di introdurre sull’energia degli oneri, che spingono, nel caso migliore, verso l’efficienza e, in quello peggiore, tendono a rendere meno competitive una serie imprese.

In questa discussione molto spesso si fa riferimento al catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (Sad) lettura interessante e da raccomandare a chiunque si occupi di policy. Tagliare i Sad, secondo qualcuno, renderebbe il sistema Italia più sostenibile sotto il profilo ambientale e consentirebbe di recuperare risorse. Proviamo a fare qualche esempio. Nella parte energia, troviamo molti Sad, dalle esenzioni per le accise alle famiglie per gli acquisti di energia, a quelle per i combustibili per le autoambulanze, misure che agevolano indirettamente il consumo di fossili. Forse vero a livello teorico, ma qui evidentemente quella che conta è la “clausola sociale”. Altri e diversi esempi di Sad tratti dal catalogo possono essere citati: le compensazioni per le emissioni a livello Ue per le emissioni di CO2 (date da tutte gli Stati Eu e mai dall’Italia) e le riduzioni degli oneri in bolletta per gli energivori, sempre previste a livello Ue (e già concesse da Francia e Germania da anni).

Entrambe le misure si applicano agli energivori (che utilizzino rinnovabili o meno), sono misure comunitarie (spesso colpevolmente inattuate o tardivamente applicate) Dopodiché bisogna capirsi sulle imprese. Non sono tutte uguali: ci sono quelle che sono energy intensive e quelle labour intensive e, molto spesso, sono organizzate per filiere orizzontali, in cui c’è chi produce il materiale (e quindi usa risorse) e chi lo trasforma in diversi manufatti, fase nella quale il lavoro ha un maggiore peso. L’uno presuppone l’altro, senza contare che il produttore del materiale è sovente (sempre?) anche il riciclatore e, quindi, il perno del sistema di economia circolare. E quindi? Non si può dividere il mondo in due, tra chi usa le risorse e chi no, perché ognuno ha un ruolo nella filiera. Bisogna premiare l’efficienza e l’innovazione, riducendo ulteriormente il carico fiscale a chi va in questa direzione. Ambiente, innovazione e infrastrutture devono essere in cima all’agenda di un Piano di investimenti pubblici e privati a livello italiano ed europeo. Il piano Juncker (chì se lo ricorda?) non basta: per ridurre drasticamente le emissioni ci vuole ben altro (un Industria 4.0 su ambiente e energia?) Una volta Individuati gli obiettivi, questi devono essere perseguiti con rigore e disciplina. Intanto la Germania invece di tagliare i Sad (come qualcuno propone in Italia) pensa a misure straordinarie per le imprese per finanziare la transizione energetica.


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