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Il prof. Pennisi spiega perché l’attacco al petrolio saudita colpisce (anche) noi

Non è semplice fare a caldo previsioni quantitative, pur approssimative, sulle implicazioni dell’attacco iraniano ai maggiori impianti petroliferi sauditi sulla politica economica europea ed italiana, anche per chi, come me, si è occupato a lungo di questioni analoghe prima per una società di consulenza in materia di olii minerali e successivamente in Banca mondiale.

C’è nel mondo una vasta capacità di produzione petrolifera inutilizzata e, di conseguenza, le ramificazioni di quanto avvenuto potrebbero essere, a livello internazionale, poco significative. Tuttavia, da un lato, i prezzi del petrolio reagiscono al margine e solo domani 16 settembre, alla riapertura dei mercati, si potrà vedere quanto “schizzano” e per quanto tempo resteranno elevati. Da un altro, unicamente l’intelligence potrà fornire indicazioni se si tratta di un caso isolato o dell’inizio di un conflitto destinato a coinvolgere tutto il Golfo Persico, ed anche Israele ed i suoi vicini.

Per un Paese come il nostro che nel 1987 ha rinunciato all’energia nucleare e che, quindi, dipende fortemente dal petrolio, si tratta comunque di droni che hanno colpito la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF), che il governo deve presentare entro meno di due settimane, e la prossima legge di bilancio attesa per metà ottobre.

Il rialzo dei prezzi del greggio, anche se di breve periodo, accentua le tendenze deflazionistiche in atto in Europa ed in Italia. Sarà difficile poter prevedere, con mercati energetici in subbuglio ed il pericolo di un conflitto quasi alle porte di casa, la ripresa economica nel 2020 preconizzata, peraltro a mezza bocca, dal Presidente del Consiglio Conte. Più saggiamente il Ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri non pronunciato parola e non ha fatto udire neanche uno spiffero.

Una prima tornata di calcoli suggerisce che il 2020 non sarà anno di ripresa, ma, nell’ipotesi più fortunata, uno di recessione contenuta al – 1%, che potrebbe arrivare ad un 1,5% se il focolaio non viene spento subito e non ritorna la bonaccia sui mercati. Si aggiungerebbe un’inflazione da costi (molto differente da un’inflazione da domanda) che danneggerebbe la competitività nelle nostre imprese, soprattutto di quelle piccole e medie.

Ciò militerebbe a favore di una manovra espansiva dal lato del bilancio pubblico, con riduzione del cuneo fiscale e fiscalizzazione di parte degli oneri sociali. Chi la frena non è un’indistinta Europa, ma il peso del debito pubblico, fortemente cresciuto negli ultimi sei anni, e particolarmente negli ultimi 14 mesi.

Ci troviamo nudi di fronte ad una potenziale grave crisi internazionale perché troppo a lungo siamo stati incauti, mentre c’erano Ministri dell’Economia e delle Finanze che sorridevamo di fronte alle telecamere.

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