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Fusione di Leonardo e Fincantieri? Perché l’idea di Renzi non mi convince. Parla Nones

Nell’intervista in cui annuncia la scissione dal Pd, Matteo Renzi interviene a gamba tesa sull’ipotesi di fusione tra Leonardo e Fincantieri. È senza dubbio il punto più programmatico della conversazione con Repubblica, in cui l’ex premier sposa l’idea di una unione tra i due maggiori player italiani del settore della Difesa. Eppure, l’ipotesi non convince tutti, a partire da Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), già consigliere del ministro della Difesa e grande conoscitore del comparto, che abbiamo raggiunto per presentargli le tre domande con cui Renzi è intervenuto sul tema.

Prima domanda dell’ex premier: “Perché continuiamo a tenere divise Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri”?

Il tema del mantenimento della sovranità tecnologica nazionale nei settori a tecnologia avanzata, e in primo luogo nel comparto aerospazio, sicurezza e difesa è sicuramente all’ordine del giorno. Tale obiettivo si può raggiungere attraverso il rafforzamento dei grandi gruppi che vi operano, ma l’ipotesi di una fusione tra Leonardo e Fincantieri, di cui si è parlato molto nell’ultimo anno, non mi sembra la risposta adeguata. Sul piano delle dimensioni, infatti, l’eventuale apporto del lato militare di Fincantieri a Leonardo non modificherebbe il posizionamento di quest’ultima nello scenario internazionale. Sul piano dei settori coinvolti, inoltre, si rischierebbe di allargare ulteriormente il ventaglio delle attività svolte da Leonardo. Se poi l’ipotizzata fusione riguardasse tutta Fincantieri, il nuovo gruppo si troverebbe a gestire un business completamente diverso com’è quello delle navi da crociera

Seconda domanda, “che senso ha” tenerle separate?

Ha senso perché sono società diverse con mercati diversi. Le conglomerate sono molto difficili da gestire: ci sono voluti 15 anni per togliere all’allora Finmeccanica i settori dell’energia e dei trasporti, con beneficio di tutti. Queste lezioni dovrebbero essere tenute presenti. L’industria non può diventare un’ammucchiata dove si mette quello che si ha. Bisogna perseguire logiche tecnologiche e di mercato, non esclusivamente finanziarie o proprietarie.

Ci spieghi meglio.

Le imprese che operano nel settore dell’aerospazio, sicurezza e Difesa cercano di concentrare le rispettive capacità su settori limitrofi dove si possano realizzare sinergie. Chi costruisce carri armati non costruisce pullman. Chi costruisce navi militari non fa navi da crociera. Viceversa, nel modello di cantieristica militare dei Paesi sviluppati, troviamo cantieri militari all’interno di grandi gruppi, come il caso di Bae Systems, o gruppi che operano solo nel settore militare, come Naval Group o i cantieri tedeschi. Solo in campo aeronautico le grandi aziende operano su mercato civile-militare (con l’eccezione di Bae Systems) al fine di compensare l’andamento della domanda. Nel caso italiano, si potrebbe al massimo ipotizzare, in via del tutto teorica, un’integrazione della parte militare di Fincantieri all’interno di Leonardo. La verità è che, per quanto riguarda Leonardo, uno dei punti di debolezza concerne le sue dimensione limitate nei vari settori in cui già oggi opera. Una strategia di crescita dovrebbe puntare dunque a rafforzare i settori su cui vuole rimanere, e non a espandersi orizzontalmente in altri settori.

E per Fincantieri?

Da diversi anni, Fincantieri ha portato avanti una strategia di successo e di crescita nel settore delle navi da crociera e delle navi civili specialistiche, dalle navi per le esplorazioni petrolifere ai traghetti di maggiori dimensioni, fino alle navi oceanografiche. È ancora in attesa dell’ok dell’autorità anti-trust europea all’acquisizione del controllo dell’ex Stx France che è auspicabile giunga al più presto. Nel campo militare, è invece rimasta di dimensioni più limitate. Credo che sia un strategia da confermare.

Terza e ultima domanda di Renzi: “Non rischiamo di farci mangiare da partner europei che investono più di noi sullo spazio e sulla difesa”?

Sì, il rischio c’è, ma la risposta consiste nell’investire di più nel settore dell’aerospazio, difesa e sicurezza, facendo crescere il mercato nazionale, l’unico che continua a ristagnare tra quelli europei. Inoltre, andrebbero supportate adeguatamente le nostre esportazioni, le quali continuano a non ricevere tutto il necessario supporto. La strategia non può essere quella di chiudersi a riccio, né di intraprendere fusioni con poca visione strategica, ma di accettare le sfide dell’internazionalizzazione.

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