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Phisikk du role – Quel galateo istituzionale che Rousseau non considera

C’era una stonatura nelle dottissime analisi che si sono lette in questi giorni sulla stampa blasonata oppure orecchiate di sfuggita in qualche mefitico talk show dedito all’onanismo politico con la solita banda di “opinionisti” un tanto al chilo. Si diceva, con diseguale competenza, s’intende: “E se poi Rousseau dice di no che succede?” Il Movimento Cinque Stelle fa macchina indietro e manda a ramengo il Pd, i suoi stessi gruppi parlamentari, il capo dello Stato e la legislatura? Si perché la domanda, dal punto di vista della calligrafia istituzionale ci stava tutta.

Siamo in una Repubblica parlamentare, che conferisce la fiducia al governo, con doppio voto di Camera e Senato, sulla base dell’indicazione di un capo dell’esecutivo investito del ruolo dal Capo dello Stato, a sua volta determinato a questa scelta dopo le consultazioni con i gruppi parlamentari e avendo maturato il convincimento della concreta possibilità di una maggioranza. Dunque il nuovo incarico a Conte scaturisce da questa procedura già consumata: Mattarella ha reinvestito del ruolo il presidente uscente perché i gruppi parlamentari e gli organi dirigenti dei due partiti maggiori della nuova alleanza, il M5S e il Pd, che avrebbero l’autosufficienza numerica, hanno concordato su nome e programma.

A questo punto la piattaforma Rousseau non spunta solo come il cavolo a merenda (ma chissà, comincio a pensare che stia entrando in alcune nuove abitudini alimentari…), ma ha tutta l’aria di essere un insulto istituzionale, rivolto al Parlamento e al Capo dello Stato, oltre che un “inestesismo”(?) politico. Sennonché l’oracolo di Casaleggio ha detto Sì con quasi l’80% di consensi al governo col Pd ed un’affluenza di quasi 80.000 votanti. Pochi avevano dubbi sul risultato, in verità e molti ne presagivano interventi manipolativi per rendere ineluttabile la scelta già compiuta dai vertici.

Non faccio parte della squadra di quelli che pensano sempre male dell’applicazione di strumenti digitali per l’esercizio di forme di democrazia continua attraverso sondaggi e limitate verifiche referendarie. Oltretutto il sondaggio on line viene fatto da un’associazione politica che, pur svolgendo, dopo l’entrata nelle istituzioni elettive, funzioni pubbliche, si muove nella logica privatistica per tutte le vicende che riguardano la scelta della linea politica da assumere. Una volta i partiti avevano organi come le direzioni, gli esecutivi, i congressi, oggi non usano più e fanno tutto da soli i leader carismatici, i capitani, i leader e ducetti di passaggio.

L’uso di uno strumento di ascolto più largo può aver anche senso, visto che l’unica tecnologia che ancora usa in politica è il voto con la matita copiativa che si adoperava ai tempi di Rousseau, appunto. La consultazione on line varrà più o meno come una direzione o un consiglio nazionale di partito, e questo lo concediamo: per un fatto estetico suggeriremmo, però, che ci fossero soggetti terzi a controllare la validità delle procedure, non per sfiducia, s’intende, ma perché così parrebbe pure più bello, meno impiastrocchiato con conflitti d’interessi. Ma questo è un fatto che si potrà risolvere.

Quello che non si risolve è lo schema temporale: non si può simpaticissimi amici pentastellati, far partire il treno del governo con capitreno, bigliettaio, personale di servizio e perfino l’omino del bar e poi dire: stop, un momento ci fermiamo in stazione perché non sappiamo se i passeggeri vogliono partire oppure no. Vuoi fare il referendum? Fallo prima. Sennò non ti puoi arrabbiare se qualche malpensante poi dice che il risultato è stato “aiutato” perché a quel punto non si poteva più fare macchina indietro. Mi sa che a Jean Jacques non tanto piacerebbe…


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