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Salvini, Gentiloni e la sponda europea. Il commento di Ocone

L’agnizione è una figura retorica del teatro classico che indica una situazione che sopraggiunge alla fine di una vicenda, allorquando il dipanarsi degli eventi rende palese agli spettatori quell’insieme di legami fra i protagonisti che prima erano solo intuibili. Una sorta di agnizione è quella che stiamo vivendo in questi giorni, quando il legame stretto fra le vicende politiche italiane e quelle dell’Unione europea si mostra in tutta la sua evidenza, anche forse con una certa sfacciataggine da parte dei protagonisti. Non può spiegarsi altrimenti il credito acquistato di colpo dal nostro Paese con la nascita del secondo governo Conte con il Pd nella maggioranza. Un credito tanto grande che ha lanciato Paolo Gentiloni, che dei democratici è il presidente, alla guida di un dicastero importante nella Commissione presieduta da Ursula Von del Leyen. Quale, non è dato ancora sapere, ma solo perché sembra che, nelle ultime ore, sia maturata una certa ostilità da parte dei Paesi del Nord contro l’idea della presidente della commissione di affidare al nostro Paese addirittura il posto che è stato fino a ieri di Pierre Moscovici: cioè quello di Commissario agli affari economici. Probabilmente si ripiegherà su una delega meno importante, quella alla Concorrenza, come prevedeva il Financial Times.

Fatto sta che già ieri in mattinata Gentiloni ha incontrato a Bruxelles, in un clima di grande cordialità, la nuova presidentessa. La stessa che aveva fatto spallucce a tutti i tentativi che pure c’erano stati, subito dopo la sua nomina, ad incontrarla da parte della Lega. È quindi evidente che il più grosso errore politico di Matteo Salvini sia stato proprio quello di aver puntato prima sulla vittoria in Europa alle elezioni del 28 maggio di un “fronte sovranista” che nei fatti non esisteva, e poi di non aver preso atto della situazione che con le elezioni si era creata e quindi della necessità di giocare la partita con le armi del realismo politico. Ad esempio facendo convergere i voti sulla candidata divenuta poi presidente e quindi rendendosi decisivi per la sua elezione come, guidati da Giuseppe Conte (che nei meccanismi europei si è invece prontamente inserito), hanno fatto i grillini.

Probabilmente il cerchio europeo sul governo gialloverde italiano si è chiuso in quel momento e Salvini si è trovato praticamente isolato su un fronte che forse non riteneva così decisivo per le sorti della politica italiana. Anche perché nel frattempo la nuova maggioranza aveva eletto un altro uomo dei dem, David Sassoli, a presidente del Parlamento europeo. In sostanza, l’Europa si fida ciecamente del Pd e il Pd usa la sponda europea per avere in patria un potere che gli elettori italiani sono andati sempre più togliendogli negli ultimi anni (anche a livello locale). Alla fine di tutta questa vicenda restano sul tappeto due grossi punti interrogativi.

Il partito che curerà per l’Italia tutta la questione europea riuscirà a farsi interprete, di quello che un tempo si chiamava “interesse nazionale”? Riuscirà cioè a rinegoziare politiche e parametri contrattati in altri tempi e per noi oggi altamente sfavorevoli? La seconda questione che resta in sospeso concerne le reazioni degli italiani a un eventuale irrigidimento delle richieste europee al nostro Paese e a una possibile ulteriore caduta del loro potere d’acquisto. Il rischio grosso è che alla prossima tornata essi esprimano il loro malcontento premiando qualche nuovo leader veramente pericoloso per le sorti della democrazia.

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