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Scuola/ Annullando le specificità si finisce così per banalizzare

«Il rispetto delle competenze altrui costituisce del resto la migliore garanzia per la tutela delle proprie attribuzioni. L’equilibrio fra i poteri dipende anche dalla capacità di ciascuno di essi di assumersi la responsabilità del proprio agire». (Sergio Mattarella)

Lo stile di movimenti e partiti legati ad un populismo anti-costituzionale e contro-istituzionale, e a metafore talvolta anche volgari nella comunicazione, è giunto al capolinea: senza ombra di dubbio, ha fallito. Governare una nazione domanda competenza, studio, ricerca, progettualità, soluzioni possibili e verificabili. E anche dialogo, con il giusto compromesso. Questa è la politica, quella vera. E se è condita da una certa eleganza di gesti e parole, funziona ancora meglio. La gente comune, semplice, di buon senso, lo ha capito benissimo.

Ormai si è tutti un po’ più consapevoli del fatto che i problemi domandano soluzioni che devono essere sì ardue e coraggiose, ma anche fattibili e che il criterio primo della bontà di una decisione non è né la fretta né il “tutto subito”. In caso contrario, si rimane ostaggio di proclami mirabolanti e fantasmagorici, ma che ben poco hanno di concreto.

In quest’ottica, è sempre necessario fare un’analisi serrata e chiarire con la forza della cultura.

È anzitutto il 10° punto indicato dal Movimento 5 Stelle in fase di trattativa di Governo (“Tutela dei beni pubblici: scuola pubblica, acqua pubblica, revisione delle concessioni autostradali”) a suggerire la necessità di alcuni chiarimenti.

Non è marginale, infatti, precisare che “pubblico” (= “che svolge un servizio pubblico, cioè per tutti”) non coincide con “statale”: ai sensi della legge (62/2000), il Servizio Nazionale di Istruzione è formato da scuole pubbliche statali, gestite dallo Stato, e scuole pubbliche paritarie, gestite da Enti privati, Comuni e Province. Le scuole non paritarie (le vere “private”) non sono scuole pubbliche, e quindi non fanno parte del SNI. È dunque in errore chi scrive o parla di “scuola pubblica” riferendosi unicamente alla “scuola pubblica statale”.

Il dibattito sulla Scuola ha sempre visto la contrapposizione tra chi sosteneva che solo lo Stato debba gestirla e controllarla – modalità tipica dei regimi totalitari – e i sostenitori, non solo cattolici, della libertà scolastica in capo ai Genitori, ai quali – secondo la Costituzione – spetta la libera iniziativa educativa e formativa. Sulla scia dei primi, il main stream dominante continua a ritenere che il diritto di soggetti giuridici privati di aprire scuole e di erogare in via sussidiaria istruzione pubblica, cioè per tutti, controllata dallo Stato si capisce, contrasti con il diritto di tutti i cittadini ad essere istruiti dallo Stato. Peggio, che solo lo Stato possa istruire i cittadini.

Ad oggi, infatti, in Italia non è ancora stato acquisito il concetto che l’offerta formativa è unica e conforme agli stessi ordinamenti generali, sebbene possa essere erogata o da istituzioni statali o da istituzioni paritarie, e ciò a garanzia del pluralismo formativo e della libertà di scelta educativa sanciti dalla Costituzione. La negazione di pluralismo e libertà configurerebbe una scuola di regime, mistificando il diritto costituzionale all’istruzione con l’obbligo di riceverla solo da scuole statali. È questo che il cittadino italiano desidera?

Non solo: per motivi ideologicamente pretestuosi, conditi da una abbondante dose di ignoranza, non è stata acquisita neppure l’evidenza matematica che, per merito delle scuole pubbliche paritarie, lo Stato risparmia sei miliardi di euro all’anno. Allo stesso tempo, non si vuole vedere che, per ogni studente delle pubbliche paritarie, le famiglie sostengono il doppio costo a) della loro contribuzione alla fiscalità generale per l’istruzione pubblica statale non fruita e b) dell’onere da sostenere (la retta della paritaria) per l’esercizio della libertà di scelta educativa.

Posto, dunque, che non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio (in parole povere: se per essere libero devo pagare, e non ho i soldi, libero non sarò mai), l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale è quello di riconoscere a ciascuno studente una quota pari ad un costo standard di sostenibilità, ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale o paritaria – sulla base di parametri certi. In sostanza, le risorse disponibili per il sistema di istruzione e formazione dovrebbero essere destinate alle famiglie per finanziare l’istituzione scolastica pubblica (statale o paritaria) prescelta per i loro figli, generando così una virtuosa concorrenza a complessivo vantaggio dell’intero sistema educativo.

In conclusione, solo attraverso il costo standard si potrà garantire la vera libertà di scelta educativa anche ai meno abbienti. L’alternativa consiste nell’avallare tacitamente l’ingiustizia di fondo per cui “il ricco sceglie, mentre il povero si accontenta”.

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